Pensiero del giorno 13 febbraio 2023

La lebbra del peccato 

La guarigione di un lebbroso, narrata dal Vangelo della Messa, dovette suscitare larga emozione tra la gente e fu spesso citata dagli Apostoli nella loro catechesi. Ce lo fa arguire il fatto che fu raccontata con dovizia di particolari dai tre Evangelisti. Tra questi, San Luca precisa che il miracolo fu compiuto in una città, e che la malattia era in uno stadio avanzato: «un uomo coperto di lebbra», dice.

La lebbra era allora considerata una malattia incurabile. Le membra del lebbroso erano aggredite e a poco a poco devastate, e i tratti del viso, le mani, i piedi si deformavano tra grandi sofferenze.

Per timore del contagio, lo si allontanava dalle città e dalle strade. Come abbiamo visto nella prima lettura della Messa il lebbroso veniva dichiarato legalmente immondo, lo si obbligava a stare con il capo scoperto e con vesti strappate; quando passava nelle vicinanze di luoghi abitati doveva farsi riconoscere da lontano. Tutti lo sfuggivano, anche i suoi familiari; e in molti casi la sua malattia era considerata un castigo di Dio per i molti peccati commessi. Con queste premesse stupisce di vedere un lebbroso in una città. Forse ha sentito parlare di Gesù e da tempo. cerca l’occasione per avvicinarsi a Lui. Ora l’ha finalmente incontrato e, pur di parlargli, trasgredisce le dure e restrittive disposizioni dell’antica legge mosaica. Cristo è la sua speranza, la sua unica speranza.

La scena dovete essere clamorosa. Il lebbroso in ginocchio davanti a Gesù implorava: «Se vuoi, puoi guarirmi!». Se vuoi… Forse si era preparato un discorso più lungo, con tante spiegazioni, ma alla fine lo ridusse tutto a questa giaculatoria piena di semplicità, di fiducia, di delicatezza: «Se vuoi, puoi…». In queste scarne parole è riassunta un’orazione possente. Gesù ebbe compassione, e i tre evangelisti che riportano il fatto ci hanno trasmesso il suo gesto sorprendente: «stesse la mano, lo toccò». Fino a quel momento tutti lo avevano evitato con timore e ripugnanza, e Cristo, che avrebbe potuto guarirlo tenendoglisi lontano -come in altre circostanze-, non solo non si allontanò da lui, ma giunse a toccare la carne infetta. Non è difficile immaginare la tenerezza di Cristo e la gratitudine del malato al vedere il gesto del Signore, all’udire le sue parole: «Lo voglio guarisci!». Il Signore ha sempre il desiderio di guarirci dalle nostre debolezze e dai nostri peccati, e non abbiamo bisogno di attendere mesi o giorni perché passi nelle vicinanze della nostra città o accanto al nostro paese: nel tabernacolo più vicino, nell’ intimità dell’anima in grazia, nel sacramento della Penitenza, tutti i giorni, possiamo incontrare quello stesso Gesù di Nazareth che ha guarito il lebbroso. «E’ medico e cura il nostro egoismo quando lasciamo che la sua Grazia penetri fino in fondo alla nostra anima. Gesù ci ha avvertiti che la malattia peggiore è l’ipocrisia, l’orgoglio che porta a dissimulare i propri peccati. Con il medico è necessario una sincerità assoluta, bisogna spiegare interamente la verità e dire: «Signore, se vuoi -e Tu vuoi sempre- puoi guarirmi. Tu conosci la mia fragilità; avverto questi sintomi, soffro queste debolezze. E gli mostriamo con semplicità le ferite, e il pus, se c’è pus»; tutte le miserie della nostra vita.

Oggi dobbiamo ricordare che proprio le debolezze e le fragilità possono essere l’occasione per avvicinarci di più a Cristo, come accadde a quel lebbroso: da quel momento sarebbe stato ormai un fedele discepolo del suo Signore. E noi, ci accostiamo alla Confessione con queste disposizioni di fede e fiducia?. Desideriamo intensamente la purificazione dell’anima? Curiamo con finezza la puntualità nel ricevere questo Sacramento?.

Da: Parlare con Dio, Vol III, ED Ares

Santa Giornata!