Pensiero del giorno 17 aprile 2025

 

VENTIDUESIMA ORA Dalle 2 alle 3 del pomeriggio

Terza ora di agonia sulla croce

Quinta parola: “Ho sete!”

O mio Crocifisso moribondo, abbracciata alla croce, sento il fuoco che brucia tutta la tua santissima persona; il cuore ti batte sì forte che, sollevandoti le costole, ti tormenta in modo sì straziante e orribile, che tutta la tua santissima umanità subisce una trasformazione da renderti irriconoscibile. L’amore da cui è avvampato il tuo cuore tutto ti dissecca e brucia; e tu, non potendo contenerlo, senti forte il tormento, non solo della sete corporale, per lo spargimento di tutto il tuo sangue, ma molto più della sete ardente della salute delle anime nostre. Tu, come acqua vorresti beverci per metterci tutti in salvo dentro di te. Perciò raccogliendo le tue affievolite forze, gridi: “Ho sete!”. Ah! Questa voce la ripeti ad ogni cuore: “Ho sete della tua volontà, dei tuoi affetti, dei tuoi desideri, del tuo amore; acqua più fresca e dolce non puoi darmi che la tua anima. Deh, non farmi bruciare! Ho sete ardente, per cui non solo mi sento bruciare la lingua e la gola, tanto che non posso più articolare parola, ma mi sento anche disseccare il cuore e le viscere. Pietà della mia sete, pietà!”. E come delirante per la gran sete, ti abbandoni alla Volontà del Padre. Ah! Il mio cuore non può più vivere nel vedere l’empietà dei tuoi nemici che, invece di acqua, ti danno fiele e aceto, e tu non li rifiuti. Ah! Comprendo: è il fiele di tante colpe, è l’aceto delle nostre passioni non domate che vogliono darti e che, invece di ristorarti, ti bruciano di più. O mio Gesù, ecco il mio cuore, i miei pensieri, i miei affetti, ecco tutto il mio essere, affinché ti disseti e dia un ristoro alla tua bocca arsa ed amareggiata. Tutto quello che ho, tutto quello che sono, tutto è per te, o mio Gesù. Se fossero necessarie le mie pene per poter salvare anche una sola anima, eccomi, io son pronta a tutto soffrire: a te io mi offro interamente, fa di me ciò che a te meglio piacerà. Intendo riparare il dolore che tu soffri per tutte le anime che si perdono e la pena che ti danno quelle, alle quali, mentre tu permetti le tristezze, gli abbandoni, esse invece di offrirli a te, come ristoro alla cocente sete che ti divora, si abbandonano a se stesse e così ti fanno penare di più.