Pensiero del Giorno 19 marzo

Ave Maria!

Nella bottega di Giuseppe
Omelia pronunciata da San Josemaría Escrivá il 19 marzo 1963

39 La Chiesa intera riconosce in san Giuseppe il suo protettore e patrono. Nel corso dei secoli si è
parlato di lui, sottolineando i vari aspetti della sua vita, che lo mostrano costantemente fedele alla
missione ricevuta da Dio. È per questo che, da molti anni, mi piace invocarlo con un titolo che mi sta a cuore: Padre e signore nostro.
San Giuseppe è realmente un padre e signore che protegge e accompagna nel cammino terreno coloro che lo venerano, come protesse e accompagnò Gesù che cresceva e diveniva adulto. Dall’intimità con lui si scopre inoltre che il santo Patriarca è maestro di vita interiore: ci insegna infatti a conoscere Gesù, a convivere con Lui, a sentirci parte della famiglia di Dio. San Giuseppe ci insegna tutto ciò apparendoci così come fu: un uomo comune, un padre di famiglia, un lavoratore che si guadagna la vita con lo sforzo delle sue mani. E anche questo fatto ha per noi un significato che è motivo di riflessione e di gioia.
Celebrando oggi la sua festa, desidero rievocare la sua figura rifacendomi a quello che di lui ci dice il Vangelo, in modo da scoprire meglio quello che Dio, per mezzo della vita semplice dello sposo di Maria, ci vuol far conoscere.
40 Sia Matteo che Luca ci parlano di san Giuseppe come di un uomo che discende da una stirpe illustre: quella di Davide e Salomone, i re di Israele. I particolari storici di questa ascendenza sono piuttosto incerti: delle due genealogie riportate dagli evangelisti, non sappiamo quale corrisponda a Maria, Madre di Gesù secondo la carne, e quale a Giuseppe, padre di Gesù secondo la legge degli ebrei. Non sappiamo nemmeno se la città natale di Giuseppe sia Betlemme, dove si recò per il censimento, o Nazaret, dove viveva e lavorava.
Sappiamo invece che non era ricco: era un lavoratore come milioni di uomini in tutto il mondo;
esercitava il mestiere faticoso e umile che Dio, prendendo la nostra carne e volendo vivere per trent’anni come uno qualunque tra di noi, aveva scelto per sé.
La Sacra Scrittura dice che Giuseppe era artigiano. Alcuni Padri aggiungono che fu falegname. San
Giustino, parlando della vita di lavoro di Gesù, dice che fabbricava aratri e gioghi (cfr SAN GIUSTINO, Dialogus cum Tryphone, 88, 2, 8 [PG 6, 687]); forse per queste parole sant’Isidoro di Siviglia conclude che Giuseppe era fabbro. Comunque era un operaio che lavorava al servizio dei suoi concittadini, con un’abilità manuale derivante da lunghi anni di sforzi e di sudore.
Dai racconti evangelici risalta la grande personalità umana di Giuseppe: in nessuna circostanza si
dimostra un debole o un pavido dinanzi alla vita; al contrario, sa affrontare i problemi, supera le
situazioni difficili, accetta con responsabilità e iniziativa i compiti che gli vengono affidati.
Non sono d’accordo con il modo tradizionale di raffigurare san Giuseppe come un vecchio, anche se riconosco la buona intenzione di dare risalto alla verginità perpetua di Maria. Io lo immagino giovane, forte, forse con qualche anno più della Madonna, ma nella pienezza dell’età e delle forze fisiche. Per praticare la virtù della castità non c’è bisogno di attendere la vecchiaia o la perdita del vigore. La purezza nasce dall’amore, e non sono un ostacolo per l’amore puro la forza e la gioia della giovinezza. Erano giovani il cuore e il corpo di Giuseppe quando contrasse matrimonio con Maria, quando conobbe il mistero della sua Maternità divina, quando le visse accanto rispettando quell’integrità che Dio affidava al mondo come uno dei segni della sua venuta tra gli uomini. Chi non è capace di capire tale amore vuol dire che sa ben poco del vero amore e che ignora totalmente il senso cristiano della castità. Giuseppe, dunque, era un artigiano della Galilea, un uomo come tanti altri. E che cosa può attendersi dalla vita l’abitante di un villaggio sperduto come Nazaret? Lavoro e null’altro che lavoro; tutti i giorni, sempre con lo stesso sforzo. Poi, terminata la giornata, una casa povera e piccola, per ristorare le forze e ricominciare a lavorare il giorno dopo. Ma, in ebraico, il nome Giuseppe significa Dio aggiungerà. Dio aggiunge alla vita santa di coloro che compiono la sua volontà una dimensione insospettata: quella veramente importante, quella che dà valore a tutte le cose, quella divina. Alla vita umile e santa di Giuseppe, Dio aggiunse — mi si permetta di parlare così — la vita della Vergine Maria e quella di Gesù, Nostro Signore. Dio non si fa battere in generosità. Giuseppe poteva far sue le parole di Maria, suasposa: Quia fecit mihi magna qui potens est, grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente, quia respexit humilitatem, perché ha guardato la mia piccolezza (cfr Lc 1, 48-49). Giuseppe era infatti un uomo comune su cui Dio fece affidamento per operare cose grandi. Seppe vivere come voleva il Signore in tutti i singoli eventi che composero la sua vita. Per questo la Sacra Scrittura loda Giuseppe affermando che era giusto (cfr Mt 1, 19). E, nella lingua ebraica, giusto vuoi dire pio, servitore irreprensibile di Dio, esecutore della volontà divina (cfr Gn 7, 1; 18, 23-32; Ez 18, 5 ss.; Pro 12, 10); significa anche buono e caritatevole verso il prossimo (cfr Tb 7, 6; 9, 6). In una parola, il giusto è colui che ama Dio e dimostra
questo amore osservando i comandamenti e orientando la vita intera al servizio degli uomini, propri
fratelli.
41 La giustizia non consiste nella semplice sottomissione a una regola: la rettitudine deve nascere dal didentro, deve essere profonda, vitale, perché il giusto vive della fede (Ab 2, 4). Vivere della fede: queste parole, che saranno poi tanto spesso tema di meditazione per l’apostolo Paolo, le vediamo realizzate perfettamente in san Giuseppe. Egli non compie la volontà di Dio esteriormente, formalisticamente, ma inmmodo spontaneo e profondo. La legge che osservava ogni ebreo praticante non era per lui soltanto un codice o una fredda raccolta di precetti: era l’espressione della volontà del Dio vivo. Ed è per questo che Giuseppe seppe riconoscere la voce del Signore quando essa gli si manifestò inattesa e sorprendente. La storia del santo Patriarca, infatti, è quella di una vita semplice, ma non certo facile. Dopo momenti angosciosi, egli sa che il Figlio di Maria è stato concepito per opera dello Spirito Santo. E quel Bambino, Figlio di Dio, discendente di Davide secondo la carne, nasce in una grotta. Gli angeli ne festeggiano la nascita e personalità di terre lontane vengono ad adorarlo; ma il re di Giudea vuole la sua morte, ed è necessario fuggire. Il Figlio di Dio è apparentemente un bimbo inerme che andrà a vivere in Egitto.
42 Narrandoci queste scene, Matteo mette costantemente in risalto la fedeltà di Giuseppe, che ubbidiva ai comandi di Dio senza tentennamenti, anche se a volte il senso di quei comandi gli doveva sembrare oscuro, oppure non riusciva a coglierne il nesso con il resto dei piani divini.
In molte occasioni i Padri della Chiesa e gli autori spirituali hanno fatto notare la fermezza della fede di Giuseppe. Riferendosi alle parole dell’angelo che gli ordina di fuggire da Erode e di rifugiarsi in Egitto (cfr Mt 2, 13), il Crisostomo commenta: Al sentire ciò, Giuseppe non si scandalizza né dice: « Mi sembra un enigma; tu stesso mi facevi sapere or non è molto che Egli avrebbe salvato il suo popolo, ed ecco che ora non è capace di salvare se stesso, anzi, dobbiamo fuggire, intraprendere un viaggio e subire un lungo esilio: ciò è contrario alla tua promessa ». Giuseppe non ragiona così, perché è uomo fedele. Non domanda nemmeno il tempo del ritorno, nonostante fosse rimasto indeterminato, giacché l’angelo gli aveva detto: « Resta là — in Egitto — finché te lo dirò ». Non per questo si sente in difficoltà, ma obbedisce, crede e sopporta con gioia tutte le prove (SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, In Matthaeum homiliae, 8, 3 [PG 57, 85]).
La fede di Giuseppe non vacilla, la sua obbedienza è sempre precisa e immediata. Per comprendere meglio la lezione del santo Patriarca, è opportuno considerare che la sua fede è attiva e che la sua docilità non ha nulla dell’obbedienza di chi si lascia trascinare dagli eventi. La fede cristiana, infatti, è quanto di più opposto ci sia al conformismo, all’inerzia interiore.
Giuseppe si abbandonò senza riserve all’azione di Dio, ma non rifiutò mai di riflettere sui fatti, e in tal modo ottenne dal Signore quel grado di intelligenza delle opere di Dio che costituisce la vera sapienza. E così apprese a poco a poco che i disegni soprannaturali hanno una coerenza divina, sovente in contraddizione con i piani umani.
Nelle diverse circostanze della sua vita, il Patriarca non rinuncia a pensare, né a far uso della sua
responsabilità. Anzi, colloca al servizio della fede tutta la sua esperienza umana. Di ritorno dall’Egitto, avendo saputo che era re della Giudea Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi (Mt 2, 22). Ha imparato a muoversi nell’ambito del piano divino e, a conferma che il suo presentimento corrisponde effettivamente alla volontà di Dio, riceve l’indicazione di riparare in Galilea. Tale fu la fede di Giuseppe: piena, fiduciosa, integra; una fede che si manifesta con la dedizione efficace alla volontà di Dio, con l’obbedienza intelligente. E, assieme alla fede, ecco la carità, l’amore. La sua fede si fonde con l’amore: l’amore per Dio che compiva le promesse fatte ad Abramo, a Giacobbe, a Mosé; l’affetto coniugale per Maria; l’affetto paterno per Gesù. Fede e amore si fondono nella speranza della grande missione che Dio, servendosi proprio di lui — un falegname della Galilea — cominciava a realizzare nel mondo: la redenzione degli uomini.
43 Fede, amore, speranza: sono i cardini della vita di Giuseppe, come lo sono di ogni vita cristiana. La dedizione di Giuseppe risulta da questo intrecciarsi di amore fedele, di fede amorosa, di speranza fiduciosa. La sua festa è dunque un’ottima occasione per rinnovare il nostro impegno di fedeltà alla vocazione di cristiani, che il Signore ha concesso a ognuno di noi.

Santa Festa!!!

Amiamo San Giuseppe, preghiamo, imitiamo San Giuseppe!!!!