Pensiero del giorno 3 novembre 2023
Chi morrà, vedrà…
il Purgatorio e il paradiso.
Capitolo primo.
La morte: Come si trova l’anima distaccandosi dal corpo?
La morte è il castigo del peccato comminato da Dio nell’ Eden ed è comune a tutti gli uomini. Per quanto si possa essere miscredenti, non si può sfuggire alla realtà della morte. Tutti dobbiamo morire, lo sappiamo, ma raramente troviamo chi se ne preoccupa, anche quando si è giunti all’estrema vecchiaia.
Io per esempio sono vecchio, ho 76 anni compiuti, sò di essere vicino alla morte, ma non sento in me la morte; sento la vita, anche quando per la vecchiaia mi accorgo di avere la forza di fare certe cose.
La ragione di questo fenomeno interno sta nell’anima e nella sua immortalità. Noi abbiamo l’anima che è immortale e, come tale, è sempre giovane.
Se notate, noi abbiamo l’impressione di una doppia fisionomia: quando ci consideriamo in noi stessi, abbiamo l’impressione di avere un volto ed un corpo assai diverso da quello che è per la vecchiaia; se ci vediamo nello specchio o in fotografia, abbiamo una sorpresa sconcertante, perché notiamo il deperimento e l’inesorabile decadimento del corpo. È questa una fisionomia tanto diversa da quella che sentiamo internamente. Anche questo fenomeno è una testimonianza della realtà dell’anima immortale. […]
Il corpo è uno strumento dell’anima, come i ferri del proprio mestiere sono strumenti delle mani che agiscono e dell’anima che dirige l’azione. Quando lo strumento è corroso e serve malamente si cerca di restaurarlo. Quando non serve più, lo si elimina. Voi per esempio, scrivete con il pennino innestato alla penna. Se il pennino è buono e l’asta lo sorregge bene, voi scrivete facilmente. Se il pennino si fa vecchio e scrive male, voi tentate di aggiustarlo e tentate di riavvicinare le gambe aperte, che non scrivono più, e potete tirare ancora avanti, non senza incomodo, perché il pennino o si inceppa sulla carta o prende male l’inchiostro. Quando finalmente, ad un nuovo tentativo di aggiustarlo, esso si spezza, allora lo buttate via nei rifiuti, dove s’arrugginisce.
Potrebbe ridiventare pennino, solo qualora fosse rifuso nella massa di acciaio che si liquefa nel forno e sarebbe come una resurrezione della morte.
Questo esempio fa capire che cosa è la nostra morte naturale: il corpo, strumento dell’anima, decade, comincia a diventare inetto. Si cerca di curarlo e può servire ancora ma meno di prima. Poi decade ancora fino al gradato disfacimento degli organi, finché, non potendo più essere strumento dell’anima, questa lo abbandona e sopraggiunge la morte.
Verrà la risurrezione del corpo, è di fede ed è la nostra speranza, quando la Potenza divina rianimerà anche un suo più piccolo residuo e, come il seme di una morta pianta, risboccerà da quel residuo come da un germe che rivive.
[…] La morte perciò è un dolore totale ed il distacco dell’anima dal corpo è uno spasimo terribile, che è temperato solo dall’agonia.
Sembrerebbe un paradosso, eppure è così. La mancanza del respiro accumula nei polmoni, e quindi nel corpo, l’acido carbonico e questo ha una funzione anestetizzante, per cui i dolori si avvertono meno. Perciò il fare nell’agonia di un morente iniezioni eccitanti, come di etere o di canfora, ecc., è un errore che può causare al morente spasmi terribili per il risveglio della sensibilità, e questo risveglio potrebbe condurre il morente alla disperazione.
Fonte: Chi morrà, vedrà…il Purgatorio e il paradiso, Sacerdote Dolindo Ruotolo, Casa Mariana editrice Apostolato Stampa, pag. 15-18
SANTA GIORNATA!