Pensiero del giorno 8 aprile 2023

Le ultime sette parole di Cristo

Fulton J. Sheen

La Settima Parola

Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito

Quando Adamo fu cacciato dal paradiso terrestre, dopo essergli stato imposto il castigo del lavoro, vagava in cerca del cibo che doveva guadagnarsi con il sudore della fronte. Durante la sua ricerca, inciampò sul corpo senza vita di suo figlio Abele. Allora lo sollevò, se lo mise sulle spalle e lo depose sulle ginocchia di Eva. Per quanto Adamo ed Eva parlassero al figlio Abele, questi non rispondeva. Non era mai stato così silenzioso in tutta la sua vita. Alzarono allora la sua mano, ma questa ricadde inerte sul grembo della madre. Non aveva mai fatto così il ragazzo. Lo guardarono negli occhi: erano freddi, vitrei, misteriosamente elusivi. I genitori non lo avevano mai visto così passivamente insensibile. Allora si chiesero cosa fosse successo, ma non sapevano darsi alcuna risposta. Ricordarono poi le parole: «Dall’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti» (Gn 2,17). Quella di Abele fu la prima morte nel mondo.
I secoli trascorsero nell’irrefrenabile ruota del tempo e il nuovo Abele, Cristo, viene ora condannato a morte dai suoi fratelli della razza di Caino, accecati dalla gelosia. La vita emersa dalle profondità infinite ora si prepara a ritornare a casa. La sua sesta parola era stata retrospettiva: «Tutto è stato compiuto. Ho finito l’opera che il Padre mi aveva dato». In cambio, la sua settima e ultima parola è rivolta verso il futuro: «Nelle tue mani consegno il mio spirito». La sesta parola era per il mondo, la settima era invece per il Padre. La sesta parola era un addio al mondo, la settima segna il suo ingresso nel paradiso. Come quei grandi pianeti che giungono al termine della loro orbita dopo molto tempo e, iniziando nuovamente il loro percorso, sembrano voler salutare colui che ha loro tracciato il cammino, così Gesù, che era venuto dal cielo, ha ora terminato il suo lavoro, ha cioè completato il suo percorso, e ritornando al Padre, che aveva tracciato il cammino della grande opera redentrice, lo saluta dicendo: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».
Il figliol prodigo ritorna alla casa del Padre. Non è infatti Gesù come il figliol prodigo? Trentatré anni prima aveva lasciato la casa del Padre suo celeste per andare in un lontano paese, che è il nostro mondo. Allora iniziò a spendere le sue risorse spirituali e lasciare che altri ne usufruissero, disperdendo con infinita prodigalità le ricchezze divine della sua potenza e sapienza, distribuendo con liberalità divina il dono del perdono e della misericordia. In questa sua ultima ora, tutte le sue sostanze vengono dissipate tra i peccatori, donando per la redenzione del mondo fino all’ultima goccia del suo sangue. Non c’è nulla di cui egli possa nutrirsi ora, ad eccezione del guscio della derisione e dell’aceto dell’aspra ingratitudine umana. Ora, però, si prepara a ritornare alla casa del Padre e quando è ancora a una certa distanza, può già vedere il suo volto. Allora prorompe con la sua ultima e perfetta preghiera dal pulpito della croce: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».
Intanto Maria è lì, ai piedi della croce. Fra poco il nuovo Abele, ucciso dai suoi fratelli, sarà calato giù dal patibolo della salvezza e adagiato sulle ginocchia della nuova Eva. Sarà la morte della Morte! Quando il tragico momento arriverà, a Maria, che ora piange, sembrerà di essere ritornata a Betlemme. Il capo incoronato di spine che non sapeva dove coricarsi ad eccezione del cuscino della croce, sembrerà, nella visione offuscata di Maria, quella testolina
che una volta accostava al suo seno, quando stavano a Betlemme. Quegli occhi, al cui affievolirsi addirittura il sole e la luna si erano oscurati, saranno per lei quegli occhietti che la guardavano tra la paglia di una mangiatoia. I piedi inerti, forati dai chiodi, saranno per lei ancora una volta quelli del bambino ai quali furono deposti oro, incenso e mirra. Le labbra, ora riarse e arrossate dal sangue, torneranno a essere per lei quelle labbrucce rubiconde che, tempo addietro, in quella lontana Betlemme, si erano nutrite dell’eucaristia del suo corpo. Le mani, che ora non potevano più portare nulla, ad eccezione di una piaga, le sembreranno di nuovo le piccole mani del fanciullo che a Betlemme non arrivavano a toccare il muso delle vacche.
L’abbraccio ai piedi della croce sembra l’abbraccio al lato della mangiatoia. In quella triste ora della morte, che spesso ci fa pensare alla nascita, sembrerà a Maria di ritornare di nuovo a Betlemme.

Preghiera

No, Maria, Betlemme non è tornata! Questa non è la mangiatoia, ma la croce; qui non vi è una nascita, ma una morte; questo non è un giorno in cui si gioisce allegramente insieme a pastori e re, ma è l’ora di una morte in compagnia di ladri. No, non è Betlemme: è il Calvario.
Betlemme è Gesù come tu, madre sua senza peccato, hai saputo darlo al mondo; il Calvario è Gesù come il mondo peccatore ha saputo ridartelo indietro. Qualcosa è intervenuto tra il tuo darlo, presso una mangiatoia, e il tuo riaverlo, presso una croce: questo qualcosa sono i miei peccati. Maria, questa non è la tua ora, ma la mia; la mia ora di malvagità e di peccato. Se io non avessi peccato, la morte non aleggerebbe ora con le sue oscure ali sopra il suo corpo insanguinato; se non fossi stato pieno di orgoglio, la corona di spine non sarebbe stata mai intrecciata perché lui espiasse al mio posto; se fossi stato meno ribelle nel percorrere la larga via che porta alla distruzione, i suoi piedi non sarebbero mai stati trafitti con i chiodi; se fossi stato più docile alla sua voce di Pastore che mi chiamava per non farmi cadere tra le spine e i cardi, le sue labbra non sarebbero state così riarse; se fossi stato più fedele, le sue guance non sarebbero state infamate dal bacio di Giuda.
Maria, io mi trovo tra la sua nascita e la sua morte redentrice. Ti avverto, Maria: non pensare che, quando le tue braccia lo abbracceranno, egli sarà bianco come quando venne dal Padre; sarà rosso, poiché viene da me. Fra pochi secondi tuo Figlio avrà consegnato la sua anima al Padre e il suo corpo nelle tue mani. Le ultime poche gocce di sangue stanno cadendo dal grande calice della Redenzione, macchiando il legno della croce e arrossando le pietre, che si spaccheranno inorridite; eppure una sola goccia di questo sangue sarebbe sufficiente per redimere diecimila mondi. Maria, madre mia, intercedi presso il tuo Figlio divino per il perdono dei peccati che hanno cambiato la tua Betlemme in un Calvario. Chiedigli, Maria, in questi ultimi attimi rimasti, di concederci la grazia di non crocifiggerlo più e di non trafiggere più il tuo cuore con sette spade.
Maria, implora tuo Figlio morente che finché io viva… Maria! Gesù è morto… Maria!

Fonte: Le ultime sette parole. Meditazioni per la Quaresima di Fulton J. Sheen (San Paolo Edizioni)