Pensiero del Giorno 4 gennaio 2023
Una culla di stelle
dal Numero 46 del 18 dicembre 2022
di Antonio Farina
Il divin Pargoletto trova in cielo una “culla di stelle” che lo accoglie, ma non trova posto nei nostri cuori da cui vorrebbe essere amato. Passa quasi inosservato e ignorato il senso profondo del Santo Natale: è Dio che cerca l’uomo, gli manda anche un segno dal cielo, ma l’uomo alzerà lo sguardo verso le cose di lassù?
Sono trascorsi 2022 anni dalla nascita di Nostro Signore Gesù Cristo in un’umile capanna di Betlemme a circa 10 km a sud di Gerusalemme e come ogni anno ci siamo preparati con il periodo dell’Avvento a rievocare questo evento centrale della storia.
Lo scorrere del tempo, il modo stesso con cui lo annotiamo nel calendario civile e religioso, ha come spartiacque, come origine l’anno zero della nascita di Gesù. Duemila anni di storia sono passati da quella notte in cui nacque il “Messiàh”, il Figlio di Dio fattosi uomo, l’Unto del Signore, il Salvatore promesso al popolo ebreo per dar vita alla Nuova Alleanza con Dio. Gli israeliti si attendevano un’epoca di pace e di prosperità che sarebbe durata sino alla fine dei tempi… ma Gesù stesso smentì tale aspettativa: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma spada» (Mt 10,34). Una spada, la Parola di Dio, che non divide soltanto «il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera» (Mt 10,35), come disse, ma anche il credente dal non credente, il salvato dal perduto, il giusto dal reprobo. «Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde» (Lc 11,23). La storia infatti è cambiata, la storia della salvezza è cambiata: il Sacrificio del Signore ha segnato l’avvio di un “Nuovo Testamento”, la presenza reale del Dio-con-noi, dell’Emmanuele preconizzato dai profeti. Un evento eccezionale che meritava un avviso eccezionale. Per annunciare che stava per arrivare la Luce del mondo si mobilitarono le potenze del Cielo. Anche di quello fisico, si intende, con un fenomeno cosmico reale, una cometa, assolutamente sconosciuta, che apparve in quel mese.
La Stella di Betlemme è stata, in qualche modo, oggetto di antiche profezie. In Isaia 60,1.6 si legge: «Alzati e rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te […]. Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore». I Re Magi, astronomi Caldei, lo avevano ben compreso e si misero in viaggio per andare ad adorare Colui che nasceva.
Il primo a parlare della Stella di Betlemme come un oggetto astronomico reale fu Origene alessandrino, il quale nel III secolo d.C. nel suo Contra Celsum disse chiaramente trattarsi dell’apparizione di una brillante cometa. San Giustino (II secolo) riteneva quasi “normale” l’accaduto. Secondo lui le comete di regola preannunciavano prodigiosamente la nascita dei “grandi” della terra. San Basilio († 379) e san Giovanni Crisostomo († 407) fecero osservare che la “stella” non era una di quelle “fisse”, non era cioè identificabile con un pianeta (quelli conosciuti erano solo Mercurio, Venere, Marte, Saturno e Giove) e nemmeno con una cometa: era qualcosa di straordinario, nell’aspetto e nel movimento diverso da quello di tutti gli astri conosciuti. Secondo san Basilio si trattava di un angelo con una torcia miracolosa…
Il Vangelo di san Matteo con la sua cronaca della Natività del Signore ha profondamente segnato l’iconografia del Natale e dell’Epifania. Fin dai tempi più remoti in ogni presepe che si rispetti non manca mai il segno per eccellenza della Regalità di Gesù: la Stella cometa, l’adorazione dei tre Re Magi. Il grande Giotto di Bondone nella cappella degli Scrovegni a Padova dipinse, tra il 1304 e il 1305, un astro con una lunga coda rossastra e fu certamente in ciò ispirato dalla cometa di Halley che egli ebbe modo di vedere nel passaggio del 1301.
La tradizione, tuttavia, è più remota del 1300 perché nella “Natività” della chiesa protocristiana della Panagia Arakiotissa a Cipro appare, anche lì, una cometa. Dunque la Stella c’è stata ed è stata un miracolo di Dio: un evento estemporaneo, un accadimento unico, un fatto irripetibile.
Quel che però può sorprenderci è che ogni anno in cielo – quello astronomico si intende – si verifica qualcosa che preannuncia la nascita del Redentore. Nella volta celeste boreale, sul finire del mese di dicembre, all’approssimarsi del Santo Natale, appare un insieme di stelle.
In mezzo al tripudio di quelli che compongono la Via Lattea, fa capolino un “gruppetto” di astri, bellissimi, multicolori: è l’ammasso del Presepe. Il suo nome deriva dal latino Præsepium che vuol dire, alla lettera, “mangiatoia chiusa da una siepe”. È un’incredibile coincidenza che proprio questo asterismo conosciuto e nominato ben prima della nascita di Gesù allieti la volta stellata al finire di dicembre. In sua compagnia si affaccia anche il bellissimo aggregato delle Pleiadi, conosciuto anche come “Le sette sorelle”, che tutti abbiamo visto almeno una volta e che spesso è scambiato per l’Orsa minore avendone una forma simile ma in miniatura.
L’ammasso del Presepe – noto anche con le sigle dei cataloghi stellari M 44 o NGC 2632 – è un brillante “ammasso aperto” visibile nella costellazione del Cancro. È uno dei più vicini al nostro sistema solare e contiene una ricca popolazione di stelle, più ampia di quelle di altri ammassi aperti vicini, tipo le Iadi. In un cielo nitido si mostra ad occhio nudo come un oggetto nebuloso; fu definito da Claudio Tolomeo «la massa nebulosa nel seno del Cancro». Stime sulla sua distanza forniscono cifre che variano fra i 160 e i 187 parsec cioè 550-610 anni luce, mentre la sua età si aggira sui 580 milioni di anni. L’ammasso è noto sin dall’antichità, essendo uno degli oggetti più facilmente visibili ad occhio nudo; il Presepe è già citato da Arato di Soli nel 260 a.C., nel suo poema Phenomena, ispirato probabilmente all’opera dell’astronomo Eudosso di Cnido. Questi lo descrive come una «piccola nube» e ci trasmette l’antica credenza che quando in un cielo apparentemente privo di nubi il Presepe non si vede, questo è segno dell’arrivo della pioggia.
Greci e Romani immaginavano il Presepe come una “mangiatoia” in cui si rifocillavano due asini, rappresentati rispettivamente dalle stelle Asellus Borealis (? Cancri) e Asellus Australis (? Cancri). Anche questo antico particolare tradizionale lo avvicina alla configurazione del presepe religioso in cui però ci sono – inutile ricordarlo – un bue e un asinello.
Nel 1609 Galileo Galilei osservò per la prima volta quest’asterismo con uno strumento ottico (un cannocchiale) e fu così in grado di distinguere circa 40 stelle. Charles Messier lo aggiunse nel 1769 nel suo famoso catalogo con il numero 44 dopo averne determinato le coordinate esatte. L’inserimento di quest’oggetto, così come le Pleiadi e la Nebulosa di Orione, è un fatto piuttosto curioso, dato che i corpi celesti catalogati da Messier sono molto meno luminosi. Forse il fine del Messier era quello di inventariare soltanto gli oggetti che potevano essere scambiati per comete.
Nel suo complesso, l’ammasso del Presepe contiene almeno un migliaio di stelle legate gravitazionalmente, cioè che si attraggono reciprocamente, per una massa totale di circa 500-600 masse solari! Uno studio del 1999 ha individuato 1.010 stelle quali membri quasi certi, di cui il 68% sono nane rosse, il 30% sono stelle simili al sole e il resto, circa il 2%, sono stelle luminose di classe A. Anche se apparentemente piccolo, il nucleo centrale luminoso dell’ammasso ha un diametro di circa 7 parsec (22,8 anni luce!). La luce, cioè la cosa più veloce che esiste, impiega 22,8 anni per percorrerlo da un capo all’altro! Nel Presepe sono presenti un gran numero di stelle variabili: se ne contano infatti circa un centinaio; molte di esse sono delle variabili ? Scuti, stelle che hanno appena lasciato la fase di stabilità per evolversi verso la fase di gigante rossa con un’immane esplosione. Conosciamo tantissimi particolari del Presepe grazie al satellite Hipparcos che ha fornito gran quantità di misurazioni della parallasse. Le stime ritenute più accurate, ottenute tramite la combinazione dei dati di Hipparcos con il diagramma H-R, forniscono una distanza di circa 182 parsec (593 anni luce). Questo significa che nel momento in cui lo guardiamo, la tenue luce che entra nei nostri occhi termina un viaggio avventuroso nel cosmo durato ben 593 anni. Chissà, forse adesso o nel corso dei secoli passati tutto l’agglomerato si è dissolto in un gigantesco turbinio di materia incandescente, ma noi lo sapremo soltanto tra centinaia di anni.
Il cielo fisico festeggia in tal modo “coreografico” Gesù Bambino accogliendolo in una evanescente “culla di stelle” per allietare e mitigare il freddo della grotta in cui realmente è stato deposto.
La radiosità del suo Volto innocentissimo di bimbo è un’icona visibile della radiosità del Volto di Dio e della sua pace infinita: «Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace» (Is 9,5). È però triste dover considerare come duemila anni fa «non c’era posto per loro nell’albergo» (Lc 2,7) e san Giuseppe e la Santissima Vergine Maria furono costretti a far nascere il Redentore in uno spoglio e poverissimo antro.
Oggi d’altronde le cose non vanno molto meglio: il Salvatore del genere umano, Colui che dà la vita in riscatto di noi poveri peccatori vorrebbe trovare posto nei nostri cuori e non ne trova, essere amato e adorato da tutti, ma ci trova spesso distratti, freddi, indifferenti, se non addirittura impassibili ai suoi vagiti.
Al riguardo è più che mai necessario essere realisti: nel mondo ci sono tante brave persone, anzi, spesso ci sono santi in mezzo a noi e neanche ce ne accorgiamo. Come è noto, il bene non fa notizia, il male al contrario è molto appariscente, molto chiassoso e viene sempre sbattuto in prima pagina. Il paragone che spesso si porta è che la foresta cresce nel silenzio, mentre un albero solo che cade fa molto rumore. Sì, certamente tutto questo è vero, però è anche vero che l’universo dei credenti si assottiglia ogni anno di più mentre aumenta vistosamente la schiera degli agnostici, degli atei, dei miscredenti, ecc. Se nella sua prima venuta Nostro Signore poteva lamentarsi dell’ipocrisia dei farisei e dei dottori della Legge, oggi è diventato addirittura raro trovare un “dottore della Legge”. Egli arriva ad esclamare: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8). Come affetto da una penosa emorragia di fede il mondo si trastulla sulla buca di un aspide, accecato da un imperante e dilagante materialismo neopagano. Chiude le porte allo Spirito Santo, nega ogni trascendenza e trasforma anche la solennità del Santo Natale in un frastornante evento mediatico, commerciale, effimero e fuggevole. Siamo sempre più lontani dal Cuore del Dio nascente, povero ed umile.
Sulla solennità religiosa e sulla sua portata spirituale grandissima, hanno la meglio i lustrini, le girandole, le strenne, gli improbabili Babbo Natale che scorrazzano sulle slitte, i regali e i cotillon, per non dire delle Befane un po’ becere e un po’ grossolane che volteggiano su scope.
Passa quasi inosservato ed ignorato il senso profondo del Santo Natale: il fatto fondamentale che l’unico vero Dio ha assunto la nostra natura umana, ha lasciato i Cieli gloriosi per scendere sulla terra e salvare l’umanità travolta dal peccato. I mali che ci affliggono sono tanti e molteplici: la guerra, gli aborti, la crisi delle famiglie, gli eventi climatici estremi, i sommovimenti di popoli, i flagelli alimentari, il problema “scottante” dell’approvvigionamento energetico, le pandemie perfino… ma su tutti questi domina e sovrasta un grande male spirituale del nostro secolo: la perdita delle anime! È questo che ci abbatte al suolo e che rattrista Gesù Bambino e l’Immacolata.
Come un pianeta impazzito che si perde nel buio del cosmo, il mondo si sta allontanando inesorabilmente da Dio. Vorrebbe progettare e “costruire” un mondo senza Dio, ma – come disse san Massimiliano M. Kolbe al suo carnefice di Auschwitz – «L’odio non serve a niente. Solo l’amore crea!». Stoltamente sottovalutiamo l’impatto sulle coscienze del peccato personale e sociale. La vita della maggioranza delle persone si consuma soffocata dalle preoccupazioni materiali oppure dissipata nell’inganno delle ricchezze e nelle lusinghe dell’idolatria scientista. Un idolo informe che non può salvare.
Tanti, troppi di noi giungono all’estremo traguardo della vita, impreparati, ignari o, peggio, ostinati nell’errore… e c’è chi, in tutto questo trambusto, fa vendemmia di anime. Grande è la perdita di fede: «Senza la fede però è impossibile essergli graditi; chi infatti s’accosta a Dio deve credere che egli esiste e che egli ricompensa coloro che lo cercano» (Eb 11,6), dice san Paolo. La mancanza di fede infatti conduce alla disperazione su questa terra e alla perdizione nell’Aldilà. I lineamenti distesi e meravigliosi del Bambin Gesù che tanto innamorano i santi e fanno cantare di gioia gli angeli del Cielo contrastano e si contrappongono crudamente al volto sfigurato dell’umanità secolarizzata. L’attuale situazione mondiale ricorda da vicino, e non solo in modo allegorico, quanto si evoca nel racconto dello scrittore e drammaturgo irlandese Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray. Un romanzo “gotico” che è considerato il manifesto letterario dell’estetismo e che svela, forse al di là delle intenzioni dello stesso Autore, i reconditi meandri dell’anima umana quando è soggiogata dal peccato. Il ritratto di Dorian Gray ci porta in un’Inghilterra decadente, nella Londra del XVIII secolo, periodo della sontuosa società vittoriana, e tratta di un motivo caro al pubblico di ogni epoca (soprattutto di quella attuale): il profondo desiderio di ottenere e mantenere la giovinezza eterna del corpo. La storia è quella di un giovane ragazzo inglese, Dorian Gray, al quale un pittore, Basil, fa un bellissimo ritratto. Dorian però è ingannato e fuorviato dai discorsi di un ricco “dandy” inglese e arriva a sperare di poter rimanere sempre giovane anche a costo di perdere la propria anima. La sua vita sarà scapestrata, ossessionata e lo porterà alla disperazione. Il quadro inizia allora ad invecchiare al suo posto, e Dorian, ormai caduto in un vortice senza fondo, rimane invece inspiegabilmente giovane. Nell’epilogo egli svela il proprio segreto all’amico pittore e lo porta davanti al proprio ritratto. Basil si trova davanti al dipinto di un mostro: ogni peccato, ogni singolo gesto infausto e crudele commesso da Dorian è immortalato nel ritratto. Il volto, un tempo giovane e perfetto, è carico di rughe, di ghigni; il corpo è quello di un vecchio perché è il ritratto della sua anima arrivata al culmine della corruzione. Una valida metafora della nostra epoca. Eppure il Signore ci mette in guardia, ci avvisa in ogni modo: «Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima immortale?» (Mc 9,36).
Seppure offuscato, annebbiato, confuso nelle trame di una vita apparentemente moderna e ipertecnologica (ma in realtà profondamente disordinata), lo smarrimento della prospettiva spirituale rende il volto del genere umano non gradito a Dio. Una metamorfosi lo attanaglia, lo imbriglia, lo imprigiona nelle spire di una fatale impenitenza. Ecco perché la voce dell’Immacolata si è fatta sentire, alta, stentorea dalle colline di Fatima con un accorato appello materno affinché cessiamo di offendere Dio che è già tanto offeso.
Tutti ci auguriamo che quello di quest’anno sia il Natale decisivo, quello della svolta, del recupero, del mutamento, della conversione universale perfino. È vero, l’apparizione in cielo delle stelle del Presepe è un fenomeno del tutto naturale e non ha nulla di miracoloso come accadde per la Stella cometa di Betlemme, ma ne condivide il fascino, la grazia e, nella sua semplicità, sembra proprio un “regalo” del cosmo a Gesù Bambino. Una “mangiatoia di stelle”, una dolce culla di astri evanescenti e colorati. La notte di Natale sarà di nuovo solcata dal silenzioso incedere di un maestoso nunzio celeste.
Lo scorrere del tempo, il modo stesso con cui lo annotiamo nel calendario civile e religioso, ha come spartiacque, come origine l’anno zero della nascita di Gesù. Duemila anni di storia sono passati da quella notte in cui nacque il “Messiàh”, il Figlio di Dio fattosi uomo, l’Unto del Signore, il Salvatore promesso al popolo ebreo per dar vita alla Nuova Alleanza con Dio. Gli israeliti si attendevano un’epoca di pace e di prosperità che sarebbe durata sino alla fine dei tempi… ma Gesù stesso smentì tale aspettativa: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma spada» (Mt 10,34). Una spada, la Parola di Dio, che non divide soltanto «il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera» (Mt 10,35), come disse, ma anche il credente dal non credente, il salvato dal perduto, il giusto dal reprobo. «Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde» (Lc 11,23). La storia infatti è cambiata, la storia della salvezza è cambiata: il Sacrificio del Signore ha segnato l’avvio di un “Nuovo Testamento”, la presenza reale del Dio-con-noi, dell’Emmanuele preconizzato dai profeti. Un evento eccezionale che meritava un avviso eccezionale. Per annunciare che stava per arrivare la Luce del mondo si mobilitarono le potenze del Cielo. Anche di quello fisico, si intende, con un fenomeno cosmico reale, una cometa, assolutamente sconosciuta, che apparve in quel mese.
La Stella di Betlemme è stata, in qualche modo, oggetto di antiche profezie. In Isaia 60,1.6 si legge: «Alzati e rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te […]. Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore». I Re Magi, astronomi Caldei, lo avevano ben compreso e si misero in viaggio per andare ad adorare Colui che nasceva.
Il primo a parlare della Stella di Betlemme come un oggetto astronomico reale fu Origene alessandrino, il quale nel III secolo d.C. nel suo Contra Celsum disse chiaramente trattarsi dell’apparizione di una brillante cometa. San Giustino (II secolo) riteneva quasi “normale” l’accaduto. Secondo lui le comete di regola preannunciavano prodigiosamente la nascita dei “grandi” della terra. San Basilio († 379) e san Giovanni Crisostomo († 407) fecero osservare che la “stella” non era una di quelle “fisse”, non era cioè identificabile con un pianeta (quelli conosciuti erano solo Mercurio, Venere, Marte, Saturno e Giove) e nemmeno con una cometa: era qualcosa di straordinario, nell’aspetto e nel movimento diverso da quello di tutti gli astri conosciuti. Secondo san Basilio si trattava di un angelo con una torcia miracolosa…
Il Vangelo di san Matteo con la sua cronaca della Natività del Signore ha profondamente segnato l’iconografia del Natale e dell’Epifania. Fin dai tempi più remoti in ogni presepe che si rispetti non manca mai il segno per eccellenza della Regalità di Gesù: la Stella cometa, l’adorazione dei tre Re Magi. Il grande Giotto di Bondone nella cappella degli Scrovegni a Padova dipinse, tra il 1304 e il 1305, un astro con una lunga coda rossastra e fu certamente in ciò ispirato dalla cometa di Halley che egli ebbe modo di vedere nel passaggio del 1301.
La tradizione, tuttavia, è più remota del 1300 perché nella “Natività” della chiesa protocristiana della Panagia Arakiotissa a Cipro appare, anche lì, una cometa. Dunque la Stella c’è stata ed è stata un miracolo di Dio: un evento estemporaneo, un accadimento unico, un fatto irripetibile.
Quel che però può sorprenderci è che ogni anno in cielo – quello astronomico si intende – si verifica qualcosa che preannuncia la nascita del Redentore. Nella volta celeste boreale, sul finire del mese di dicembre, all’approssimarsi del Santo Natale, appare un insieme di stelle.
In mezzo al tripudio di quelli che compongono la Via Lattea, fa capolino un “gruppetto” di astri, bellissimi, multicolori: è l’ammasso del Presepe. Il suo nome deriva dal latino Præsepium che vuol dire, alla lettera, “mangiatoia chiusa da una siepe”. È un’incredibile coincidenza che proprio questo asterismo conosciuto e nominato ben prima della nascita di Gesù allieti la volta stellata al finire di dicembre. In sua compagnia si affaccia anche il bellissimo aggregato delle Pleiadi, conosciuto anche come “Le sette sorelle”, che tutti abbiamo visto almeno una volta e che spesso è scambiato per l’Orsa minore avendone una forma simile ma in miniatura.
L’ammasso del Presepe – noto anche con le sigle dei cataloghi stellari M 44 o NGC 2632 – è un brillante “ammasso aperto” visibile nella costellazione del Cancro. È uno dei più vicini al nostro sistema solare e contiene una ricca popolazione di stelle, più ampia di quelle di altri ammassi aperti vicini, tipo le Iadi. In un cielo nitido si mostra ad occhio nudo come un oggetto nebuloso; fu definito da Claudio Tolomeo «la massa nebulosa nel seno del Cancro». Stime sulla sua distanza forniscono cifre che variano fra i 160 e i 187 parsec cioè 550-610 anni luce, mentre la sua età si aggira sui 580 milioni di anni. L’ammasso è noto sin dall’antichità, essendo uno degli oggetti più facilmente visibili ad occhio nudo; il Presepe è già citato da Arato di Soli nel 260 a.C., nel suo poema Phenomena, ispirato probabilmente all’opera dell’astronomo Eudosso di Cnido. Questi lo descrive come una «piccola nube» e ci trasmette l’antica credenza che quando in un cielo apparentemente privo di nubi il Presepe non si vede, questo è segno dell’arrivo della pioggia.
Greci e Romani immaginavano il Presepe come una “mangiatoia” in cui si rifocillavano due asini, rappresentati rispettivamente dalle stelle Asellus Borealis (? Cancri) e Asellus Australis (? Cancri). Anche questo antico particolare tradizionale lo avvicina alla configurazione del presepe religioso in cui però ci sono – inutile ricordarlo – un bue e un asinello.
Nel 1609 Galileo Galilei osservò per la prima volta quest’asterismo con uno strumento ottico (un cannocchiale) e fu così in grado di distinguere circa 40 stelle. Charles Messier lo aggiunse nel 1769 nel suo famoso catalogo con il numero 44 dopo averne determinato le coordinate esatte. L’inserimento di quest’oggetto, così come le Pleiadi e la Nebulosa di Orione, è un fatto piuttosto curioso, dato che i corpi celesti catalogati da Messier sono molto meno luminosi. Forse il fine del Messier era quello di inventariare soltanto gli oggetti che potevano essere scambiati per comete.
Nel suo complesso, l’ammasso del Presepe contiene almeno un migliaio di stelle legate gravitazionalmente, cioè che si attraggono reciprocamente, per una massa totale di circa 500-600 masse solari! Uno studio del 1999 ha individuato 1.010 stelle quali membri quasi certi, di cui il 68% sono nane rosse, il 30% sono stelle simili al sole e il resto, circa il 2%, sono stelle luminose di classe A. Anche se apparentemente piccolo, il nucleo centrale luminoso dell’ammasso ha un diametro di circa 7 parsec (22,8 anni luce!). La luce, cioè la cosa più veloce che esiste, impiega 22,8 anni per percorrerlo da un capo all’altro! Nel Presepe sono presenti un gran numero di stelle variabili: se ne contano infatti circa un centinaio; molte di esse sono delle variabili ? Scuti, stelle che hanno appena lasciato la fase di stabilità per evolversi verso la fase di gigante rossa con un’immane esplosione. Conosciamo tantissimi particolari del Presepe grazie al satellite Hipparcos che ha fornito gran quantità di misurazioni della parallasse. Le stime ritenute più accurate, ottenute tramite la combinazione dei dati di Hipparcos con il diagramma H-R, forniscono una distanza di circa 182 parsec (593 anni luce). Questo significa che nel momento in cui lo guardiamo, la tenue luce che entra nei nostri occhi termina un viaggio avventuroso nel cosmo durato ben 593 anni. Chissà, forse adesso o nel corso dei secoli passati tutto l’agglomerato si è dissolto in un gigantesco turbinio di materia incandescente, ma noi lo sapremo soltanto tra centinaia di anni.
Il cielo fisico festeggia in tal modo “coreografico” Gesù Bambino accogliendolo in una evanescente “culla di stelle” per allietare e mitigare il freddo della grotta in cui realmente è stato deposto.
La radiosità del suo Volto innocentissimo di bimbo è un’icona visibile della radiosità del Volto di Dio e della sua pace infinita: «Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace» (Is 9,5). È però triste dover considerare come duemila anni fa «non c’era posto per loro nell’albergo» (Lc 2,7) e san Giuseppe e la Santissima Vergine Maria furono costretti a far nascere il Redentore in uno spoglio e poverissimo antro.
Oggi d’altronde le cose non vanno molto meglio: il Salvatore del genere umano, Colui che dà la vita in riscatto di noi poveri peccatori vorrebbe trovare posto nei nostri cuori e non ne trova, essere amato e adorato da tutti, ma ci trova spesso distratti, freddi, indifferenti, se non addirittura impassibili ai suoi vagiti.
Al riguardo è più che mai necessario essere realisti: nel mondo ci sono tante brave persone, anzi, spesso ci sono santi in mezzo a noi e neanche ce ne accorgiamo. Come è noto, il bene non fa notizia, il male al contrario è molto appariscente, molto chiassoso e viene sempre sbattuto in prima pagina. Il paragone che spesso si porta è che la foresta cresce nel silenzio, mentre un albero solo che cade fa molto rumore. Sì, certamente tutto questo è vero, però è anche vero che l’universo dei credenti si assottiglia ogni anno di più mentre aumenta vistosamente la schiera degli agnostici, degli atei, dei miscredenti, ecc. Se nella sua prima venuta Nostro Signore poteva lamentarsi dell’ipocrisia dei farisei e dei dottori della Legge, oggi è diventato addirittura raro trovare un “dottore della Legge”. Egli arriva ad esclamare: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8). Come affetto da una penosa emorragia di fede il mondo si trastulla sulla buca di un aspide, accecato da un imperante e dilagante materialismo neopagano. Chiude le porte allo Spirito Santo, nega ogni trascendenza e trasforma anche la solennità del Santo Natale in un frastornante evento mediatico, commerciale, effimero e fuggevole. Siamo sempre più lontani dal Cuore del Dio nascente, povero ed umile.
Sulla solennità religiosa e sulla sua portata spirituale grandissima, hanno la meglio i lustrini, le girandole, le strenne, gli improbabili Babbo Natale che scorrazzano sulle slitte, i regali e i cotillon, per non dire delle Befane un po’ becere e un po’ grossolane che volteggiano su scope.
Passa quasi inosservato ed ignorato il senso profondo del Santo Natale: il fatto fondamentale che l’unico vero Dio ha assunto la nostra natura umana, ha lasciato i Cieli gloriosi per scendere sulla terra e salvare l’umanità travolta dal peccato. I mali che ci affliggono sono tanti e molteplici: la guerra, gli aborti, la crisi delle famiglie, gli eventi climatici estremi, i sommovimenti di popoli, i flagelli alimentari, il problema “scottante” dell’approvvigionamento energetico, le pandemie perfino… ma su tutti questi domina e sovrasta un grande male spirituale del nostro secolo: la perdita delle anime! È questo che ci abbatte al suolo e che rattrista Gesù Bambino e l’Immacolata.
Come un pianeta impazzito che si perde nel buio del cosmo, il mondo si sta allontanando inesorabilmente da Dio. Vorrebbe progettare e “costruire” un mondo senza Dio, ma – come disse san Massimiliano M. Kolbe al suo carnefice di Auschwitz – «L’odio non serve a niente. Solo l’amore crea!». Stoltamente sottovalutiamo l’impatto sulle coscienze del peccato personale e sociale. La vita della maggioranza delle persone si consuma soffocata dalle preoccupazioni materiali oppure dissipata nell’inganno delle ricchezze e nelle lusinghe dell’idolatria scientista. Un idolo informe che non può salvare.
Tanti, troppi di noi giungono all’estremo traguardo della vita, impreparati, ignari o, peggio, ostinati nell’errore… e c’è chi, in tutto questo trambusto, fa vendemmia di anime. Grande è la perdita di fede: «Senza la fede però è impossibile essergli graditi; chi infatti s’accosta a Dio deve credere che egli esiste e che egli ricompensa coloro che lo cercano» (Eb 11,6), dice san Paolo. La mancanza di fede infatti conduce alla disperazione su questa terra e alla perdizione nell’Aldilà. I lineamenti distesi e meravigliosi del Bambin Gesù che tanto innamorano i santi e fanno cantare di gioia gli angeli del Cielo contrastano e si contrappongono crudamente al volto sfigurato dell’umanità secolarizzata. L’attuale situazione mondiale ricorda da vicino, e non solo in modo allegorico, quanto si evoca nel racconto dello scrittore e drammaturgo irlandese Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray. Un romanzo “gotico” che è considerato il manifesto letterario dell’estetismo e che svela, forse al di là delle intenzioni dello stesso Autore, i reconditi meandri dell’anima umana quando è soggiogata dal peccato. Il ritratto di Dorian Gray ci porta in un’Inghilterra decadente, nella Londra del XVIII secolo, periodo della sontuosa società vittoriana, e tratta di un motivo caro al pubblico di ogni epoca (soprattutto di quella attuale): il profondo desiderio di ottenere e mantenere la giovinezza eterna del corpo. La storia è quella di un giovane ragazzo inglese, Dorian Gray, al quale un pittore, Basil, fa un bellissimo ritratto. Dorian però è ingannato e fuorviato dai discorsi di un ricco “dandy” inglese e arriva a sperare di poter rimanere sempre giovane anche a costo di perdere la propria anima. La sua vita sarà scapestrata, ossessionata e lo porterà alla disperazione. Il quadro inizia allora ad invecchiare al suo posto, e Dorian, ormai caduto in un vortice senza fondo, rimane invece inspiegabilmente giovane. Nell’epilogo egli svela il proprio segreto all’amico pittore e lo porta davanti al proprio ritratto. Basil si trova davanti al dipinto di un mostro: ogni peccato, ogni singolo gesto infausto e crudele commesso da Dorian è immortalato nel ritratto. Il volto, un tempo giovane e perfetto, è carico di rughe, di ghigni; il corpo è quello di un vecchio perché è il ritratto della sua anima arrivata al culmine della corruzione. Una valida metafora della nostra epoca. Eppure il Signore ci mette in guardia, ci avvisa in ogni modo: «Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima immortale?» (Mc 9,36).
Seppure offuscato, annebbiato, confuso nelle trame di una vita apparentemente moderna e ipertecnologica (ma in realtà profondamente disordinata), lo smarrimento della prospettiva spirituale rende il volto del genere umano non gradito a Dio. Una metamorfosi lo attanaglia, lo imbriglia, lo imprigiona nelle spire di una fatale impenitenza. Ecco perché la voce dell’Immacolata si è fatta sentire, alta, stentorea dalle colline di Fatima con un accorato appello materno affinché cessiamo di offendere Dio che è già tanto offeso.
Tutti ci auguriamo che quello di quest’anno sia il Natale decisivo, quello della svolta, del recupero, del mutamento, della conversione universale perfino. È vero, l’apparizione in cielo delle stelle del Presepe è un fenomeno del tutto naturale e non ha nulla di miracoloso come accadde per la Stella cometa di Betlemme, ma ne condivide il fascino, la grazia e, nella sua semplicità, sembra proprio un “regalo” del cosmo a Gesù Bambino. Una “mangiatoia di stelle”, una dolce culla di astri evanescenti e colorati. La notte di Natale sarà di nuovo solcata dal silenzioso incedere di un maestoso nunzio celeste.
SANTA GIORNATA!