Pensiero del giorno 5 aprile 2023

Le ultime sette parole di Cristo

Fulton J. Sheen

La Quarta Parola

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

Le prime tre parole pronunciate dal pulpito della croce erano dirette alle tre categorie predilette da Dio: nemici, peccatori e santi. Le prossime due parole lasciano invece intravedere il dolore dell’Uomo-Dio sulla croce. La quarta parola simboleggia le sofferenze di coloro che si sentono abbandonati da Dio; la quinta parola simboleggia le sofferenze di Dio abbandonato dall’uomo.
Quando il Signore pronunciò la quarta parola dalla croce, si fece buio su tutta la terra. Si pensa comunemente che la natura rimanga indifferente al dolore dell’uomo. Una nazione può morire di fame, eppure il sole e le stelle continuano a volteggiare sui campi inariditi. L’uomo può levarsi contro suo fratello in una guerra fratricida e trasformare i campi di fiori in campi di sangue, ma un uccello, scampato al fuoco e al furore della battaglia, canta la sua dolce melodia di pace. I nostri cuori possono spezzarsi dal dolore per la morte di un carissimo amico, tuttavia l’arcobaleno appare festoso nel cielo anche se i suoi sgargianti colori contrastano con la cupa agonia sulla quale egli risplende. Ora, però, il sole si rifiuta di brillare sulla tragedia della crocifissione! Forse per la prima e ultima volta, la luce che governa il giorno si spegne come una candela, sebbene, secondo le previsioni umane, avrebbe dovuto continuare a brillare. La ragione di tutto questo sta nel fatto che, davanti a quell’atto supremo dell’iniquità dell’uomo, cioè l’uccisione del Creatore della natura, la stessa natura non poteva rimanere indifferente. Se l’animo del Signore si trovava nell’oscurità, allora anche il sole, che egli aveva creato, doveva esserlo.
In realtà, tutto era nell’oscurità! Egli si era privato di sua Madre e del suo discepolo amato, donandoli l’uno all’altra, e ora anche suo Padre nei cieli lo aveva abbandonato. «Eli, Eli, lamà sabactàni». «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»: è il pianto, in quel misterioso linguaggio degli Ebrei, che esprime il terribile mistero di un Dio abbandonato da Dio stesso. Il Figlio chiama suo Padre, Dio. Che contrasto con quella preghiera che egli un giorno aveva insegnato: «Padre nostro, che sei nei cieli…»! Stranamente e misteriosamente, la sua natura umana sembra separarsi dal Padre celeste, eppure non è così: come potrebbe altrimenti invocarlo dicendo: «Dio mio, Dio mio»? Come la luce e il calore del sole sembrano scomparire quando si frappongono le nuvole, sebbene il sole rimanga nel cielo al di là delle nuvole, così è ora per Gesù: il volto del Padre celeste sembra scomparire in quel terribile momento in cui egli prende su di sé i peccati del mondo. Gesù assume questa sofferenza per ognuno di noi, affinché possiamo capire che cosa terribile sia per la natura umana essere privati di Dio, della sua consolazione e salvezza divine. Era l’atto supremo di espiazione per tre classi di persone: coloro che abbandonano Dio, coloro che dubitano della presenza di Dio e coloro che sono indifferenti nei confronti di Dio.
La sua espiazione era prima di tutto per gli atei, per quelli che, in quell’oscuro mezzogiorno, credettero a Dio solo parzialmente, come parzialmente credono oggi coloro che vivono nella notte. Espiò poi per tutti coloro che, pur conoscendo Dio, vivono come se non lo avessero mai conosciuto; per coloro i cui cuori sono come i bordi di una strada, dove l’amore di Dio getta i suoi semi che verranno però calpestati da tutti; per coloro i cui cuori sono come terreni sassosi, dove i semi dell’amore di Dio cadono per essere presto dimenticati; per coloro i cui cuori sono come rovi di spine, dove i semi dell’amore di Dio vengono soffocati dalle preoccupazioni terrene. Espiò per tutti quelli che avevano la fede e la persero, per tutti quelli che prima erano santi ma ora sono divenuti nemici. Era l’atto divino di redenzione per tutti quelli che abbandonano Dio: infatti, nel momento in cui fu abbandonato, acquistò per noi la grazia di non essere mai abbandonati da Dio. È stato un atto di espiazione anche per coloro che rinnegano la presenza di Dio; per tutti quei cristiani che abbandonano ogni sforzo quando non sentono la vicinanza di Dio; per tutti coloro che identificano l’essere buoni con lo star bene; per tutti gli scettici, iniziando da coloro che gli avevano chiesto: «Chi ti ha mandato?». Gesù stava espiando per tutte quelle domande accattivanti di un mondo che continuamente si chiede: «Perché esiste il male?». «Perché Dio non risponde alle mie preghiere?». «Perché Dio si è portato con sé mia madre?». «Perché… perché… perché?». L’espiazione per tutte queste domande si compì nel momento in cui Dio stesso chiese un perché? a Dio.
Infine, era l’espiazione per tutta l’indifferenza di un mondo che vive come se non ci fossero mai state una mangiatoia a Betlemme e una croce sul Calvario; per tutti coloro che giocavano ignaramente a dadi mentre si stava consumando il dramma della redenzione; per tutti coloro che si sentono degli dei al di sopra di ogni dovere, di ogni religione, di ogni rito, credendosi privi di ogni legame. Penso che dopo questi duemila anni l’indifferenza del mondo moderno sia più dolorosa delle pene del Calvario. Non bisogna credere che la corona di spine e il metallo dei chiodi fossero più terribili per il corpo del Nostro Salvatore dell’indifferenza di oggigiorno, che non si cura né di offendere né di lodare il suo Cuore.

Preghiera

O Gesù! Tu stai espiando per quei momenti in cui non siamo né caldi né freddi, né cittadini della terra né del cielo, giacché tu ora stai soffrendo fra cielo e terra: abbandonato dall’uno e rigettato dall’altra. Tuo Padre ti ha nascosto il suo volto, perché tu non volevi abbandonare l’umanità nel suo peccato. Ma, poiché sei rimasto fedele al tuo Padre celeste, l’umanità peccatrice ti ha voltato le spalle: in questo modo tu hai trovato il giusto cammino per unire l’umanità al Padre in una santa alleanza. Nessuno potrà più dire che Dio non conosce ciò che significhi sentirsi abbandonati, visto che tu sei stato abbandonato. Nessuno potrà più dire che Dio non conosce le ferite e la perplessità di un cuore che si interroga quando non sente più la presenza divina, visto che per te, ora, quella stessa presenza sembra nascondersi. Gesù, ora capisco il dolore, l’abbandono e la sofferenza, poiché vedo che anche il sole si è eclissato. Ma perché, Gesù, trovo così difficile imparare? Come tu non ti sei costruito la tua propria croce, fa’ sì che anch’io non mi costruisca la mia. Insegnami ad accettare quella che tu hai preparato per me. Insegnami a capire che tutto nel mondo è tuo, ad eccezione di una cosa, la mia volontà: poiché questa è l’unica cosa veramente mia, è l’unico vero dono che io possa farti. Insegnami a dire: «Non sia fatta la mia, ma la tua volontà». Anche quando non ti vedo, dammi la grazia di dire: «Anche se tu mi uccidessi, io continuerò a sperare in te». Dimmi, Signore: per quanto tempo ancora ti lascerò a contorcerti sulla croce?

Fonte: Le ultime sette parole. Meditazioni per la Quaresima di Fulton J. Sheen (San Paolo Edizioni)