Pensiero del giorno 7giugno 2024

Ave Maria!

SOLENNITA’ DEL SACRATISSIMO CUORE DI GESU’

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2 . Oggi lasciamo parlare i testi della liturgia, cominciando dalla lettura del Vangelo secondo Giovanni. L’Evangelista riferisce un fatto con la precisione del testimone oculare.

“Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato) chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all’altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il costato con la lancia e subito ne usci sangue e acqua” (Gv 19,31-34).

Neanche una parola sul cuore.

L’Evangelista parla soltanto del colpo di lancia al costato, da cui usci sangue e acqua. Il linguaggio della descrizione è quasi medico, anatomico. La lancia del soldato ha colpito certamente il cuore, per verificare se il Condannato era già morto. Questo cuore – questo cuore umano – ha smesso di lavorare. Gesù ha cessato di vivere. Contemporaneamente, però, questa anatomica apertura del cuore di Cristo dopo la morte – nonostante tutta l’“asprezza” storica del testo – ci spinge a pensare anche a livello di metafora. Il cuore non è soltanto un organo che condiziona la vitalità biologica dell’uomo. Il cuore è un simbolo. Parla di tutto l’uomo interiore. Parla dell’interno spirituale dell’uomo. E la tradizione subito ha riletto questo senso della descrizione giovannea. Del resto, in un certo senso, l’Evangelista stesso ha dato a ciò la spinta, quando, riferendosi all’attestazione del testimone oculare che era lui stesso, si è riferito, nel medesimo tempo, a questa frase della Sacra Scrittura: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37; Zc 12,10).

Così, in realtà, guarda la Chiesa; così guarda l’umanità. Ed ecco, nel Trafitto dalla lancia del soldato tutte le generazioni dei cristiani hanno imparato e imparano a leggere il mistero del Cuore dell’Uomo Crocifisso che era ed è il Figlio di Dio.

3. Diversa è la misura della conoscenza che di questo mistero, nel corso dei secoli, hanno acquisito molti discepoli e discepole del Cuore di Cristo.

Uno dei protagonisti in questo campo fu certamente Paolo di Tarso, convertito da persecutore in Apostolo. Anch’egli parla a noi nella liturgia di venerdì prossimo con le parole della lettera agli Efesini. Parla come l’uomo che ha ricevuto una grande grazia, poiché a lui è stato concesso “di annunziare ai Gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo, e di far risplendere agli occhi di tutti qual è l’adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell’universo” (Ef 3,8-9).

Quella “ricchezza di Cristo” e nello stesso tempo quell’“eterno disegno di salvezza” di Dio è indirizzato dallo Spirito Santo all’“uomo interiore”, affinché così “il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori” (Ef 3,16-17). E quando il Cristo, con la forza dello Spirito Santo, abiterà per la fede nei nostri cuori umani, allora saremo in grado “di comprendere con il nostro spirito umano” (cioè proprio con questo “cuore”) “quale sia l’ampiezza, la larghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza…” (Ef 3,18-19).

Per tale conoscenza fatta con il cuore, con ogni cuore umano, è stato aperto, alla fine della vita terrestre, il Cuore Divino del Condannato e Crocifisso sul Calvario.

Diversa è la misura di questa conoscenza da parte dei cuori umani. Dinanzi alla forza delle parole di Paolo, ognuno di noi interroghi se stesso sulla misura del proprio cuore. “…Davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” (1Gv 3,19-20). Il Cuore dell’Uomo-Dio non giudica i cuori umani. Il Cuore chiama. Il Cuore “invita”. A questo scopo è stato aperto con la lancia del soldato.

4. Il mistero del cuore si apre attraverso le ferite del corpo; si apre il grande mistero della pietà, si aprono le viscere di misericordia del nostro Dio (S. Bernardo, Sermo LXI, 4: PL 183,1072).

Cristo parla nella liturgia di venerdì: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29).

Forse una sola volta, con parole sue, il Signore Gesù si è richiamato al proprio cuore. E ha messo in evidenza questo unico tratto: “mitezza e umiltà”. Come se volesse dire che solo con questa via vuole conquistare l’uomo; che mediante “la mitezza e l’umiltà” vuole essere il Re dei cuori. Tutto il mistero del suo regnare si è espresso in queste parole. La mitezza e l’umiltà coprono in un certo senso tutta la “ricchezza” del Cuore del Redentore, di cui ha scritto San Paolo agli Efesini. Ma anche quella “mitezza e umiltà” lo svelano pienamente, e meglio ci permettono di conoscerlo e di accettarlo; lo fanno oggetto di ammirazione suprema.

La bella litania al Sacro Cuore di Gesù è composta da molte simili parole di più, dalle esclamazioni di ammirazione per la ricchezza del Cuore di Cristo. Meditiamole con attenzione quel giorno.

5. Così, alla fine di questo fondamentale ciclo liturgico della Chiesa – che si è iniziato con la prima domenica d’Avvento, ed è passato per il tempo di Natale, poi della Quaresima, della Risurrezione fino alla Pentecoste, alla Domenica della Santissima Trinità e al “Corpus Domini” – si presenta discretamente la festa del Cuore Divino, del Sacro Cuore di Gesù. Tutto questo ciclo si racchiude definitivamente in esso; nel Cuore del Dio-Uomo. Da esso anche ogni anno irradia tutta la vita della Chiesa. Questo Cuore è “fonte di vita e di santità”.

Fonte: GIOVANNI PAOLO II,UDIENZA GENERALE, Mercoledì, 20 giugno 1979

SANTA SOLENNITA’

*SI rinnovi la consacrazione al SACRATISSIMO CUORE DI GESU’