III Giorno della Novena di Natale

18 dicembre

        Preghiera

Dolce mio Bambino, come io, sapendo quanto hai patito per me, ho potuto esserti tanto ingrato col darti tanti disgusti? Ma queste lacrime che spargi, questa povertà che hai eletta per mio amore, mi fanno sperare il perdono delle offese che ti ho fatte. Mi pento, Gesù mio, di quante volte ti ho voltato le spalle e ti amo sopra ogni cosa. Mio Dio, da oggi innanzi tu sarai l’unico mio tesoro ed ogni mio bene. Ti dirò con Sant’Ignazio di Loyola: “Dammi l’amor tuo, dammi la tua grazia, e sono ricco abbastanza. Niente più voglio, niente desidero, tu solo mi basti, Gesù mio, vita mia, amore mio”.

3 Gloria

Gesù Bambino, abbi pietà di noi

Meditazioni per la Novena di Natale di S Alfonso M de Liguori

DISCORSO III – Il Verbo Eterno da signore si è fatto servo.

Humiliavit semet ipsum formam servi accipiens. (Philip. II, 8).1

Considerando S. Zaccaria la gran misericordia del nostro Dio nell’opera della Redenzione umana, ebbe ragione di esclamare: Benedictus Dominus Deus Israel, quia visitavit et fecit redemptionem plebis suae ,(Luc. I, 68): Sia benedetto sempre Iddio, che si è degnato di scendere in terra e farsi uomo per redimere gli uomini. Ut sine timore de manu inimicorum nostrorum liberati serviamus illi:2 Acciocché sciolti dalle catene del peccato e della morte, con cui ci tenean legati e schiavi i nostri nemici, senza timore, ed acquistando la libertà de’ figli di Dio, possiamo in questa vita servirlo ed amarlo, per poi andare a possederlo e a goderlo da faccia a faccia nel regno de’ beati, che prima a noi era chiuso, ma ora ci viene aperto dal nostro Salvatore. Dunque tutti noi eravamo già schiavi dell’inferno; ma il Verbo Eterno, il nostro supremo Signore, per liberarci da tale servitù, che ha fatto? da signore si è fatto servo. Consideriamo qual misericordia e qual amore immenso è stato questo; ma prima cerchiamo luce a Gesù e a Maria.

Iddio è il Signore del tutto che vi è e vi può essere nel mondo: In ditione tua cuncta sunt posita; tu enim creasti omnia.3 Chi mai può negare a Dio il dominio supremo sopra tutte le cose, se egli è il creatore ed il conservatore del tutto? Et [habet] in vestimento et in femore suo scriptum: Rex regum, et Dominus dominantium (Apoc. XIX, 16). Spiega quell’in femore il Maldonato, e dice, suapte natura;4 e vuol dire, che a’ monarchi della terra sta la maestà annessa al di fuori, per dono e favore del supremo Re ch’è Dio: ma Dio è Re per natura; sicché non può non essere5 egli il Re e Signore del tutto. Ma questo supremo Re dominava nel cielo sugli angeli, dominava sopra tutte le creature, ma non dominava sopra i cuori degli uomini; gli uomini miseramente gemevano sotto la schiavitù del demonio. Sì, questo tiranno, prima della venuta di Gesù Cristo, era il signore che dagli uomini si faceva adorare anche per Dio con incensi e con sacrifici, non solo di animali, ma anche de’ propri figli e delle proprie vite; ed egli, il nemico, il tiranno, che cosa loro rendeva? come li trattava? Con somma barbarie tormentava i loro corpi, accecava le loro menti, e per una via di pene miseramente li conduceva alla pena eterna. Questo tiranno venne il Verbo divino ad abbattere, ed a liberare gli uomini dalla di lui troppo infelice servitù, affinché i miseri liberati dalle tenebre di morte, sciolti dalle catene di questo barbaro regnante, ed illuminati a conoscere qual fosse la vera via della loro salute, servissero al lor vero e legittimo Signore, che l’amava da padre, e da servi di Lucifero volea renderli suoi diletti figli: Ut sine timore de manu inimicorum nostrorum liberati serviamus illi. Predisse già il profeta Isaia che ‘l nostro Redentore dovea distruggere l’imperio che tenea il demonio sopra degli uomini: Sceptrum exactoris eius superasti.6 E perché il profeta chiamò il demonio esattore? perché, dice S. Cirillo, questo barbaro padrone da’ poveri peccatori suoi schiavi suole esigere gravissimi tributi di passioni, di rancori e di affetti malvagi, co’ quali a sé più gl’incatena, e nello stesso tempo li flagella.7 Venne dunque il nostro Salvatore a liberarci dalla servitù di questo nemico, ma come? in qual modo egli ci liberò? Sentite che fece, dice S. Paolo: Cum in forma Dei esset, non rapinam arbitratus est esse se aequalem Deo; sed semet ipsum exinanivit, formam servi accipiens, in similitudinem hominum factus.8 Era già egli, dice l’Apostolo, il Figlio unigenito di Dio, eguale al suo Padre, eterno come il Padre, onnipotente come il Padre, immenso, sapientissimo, e supremo Signore del cielo e della terra, degli angeli e degli uomini come il Padre; ma per amore dell’uomo si abbassò a prender la forma di servo, con vestirsi di carne umana e farsi simile agli uomini; e perché questi per cagion de’ loro peccati eran divenuti servi del demonio, venne in forma di uomo a redimerli, con soddisfare colle sue pene e colla sua morte alla divina giustizia la pena da loro meritata. Ah se la santa fede di ciò non ci assicurasse, chi mai avrebbe potuto crederlo? chi mai sperarlo? chi mai neppure immaginarlo? Ma la fede ci fa sapere e ce ne fa certi, che questo sommo, supremo Signore exinanivit semet ipsum, formam servi accipiens.

E sin da bambino volle il Redentore, facendosi servo, cominciare a spogliar il demonio del dominio che avea sopra dell’uomo, siccome predisse Isaia: Voca nomen eius: Accelera spolia detrahere: Festina praedari.9 Hoc est, spiega S. Girolamo, ne ultra patiatur regnare diabolum.10 Ecco Gesù, che appena nato, dice Beda, per ottenere a noi la liberazione dalla schiavitù dell’inferno, comincia a far la figura e l’officio di servo, facendosi descrivere per suddito di Cesare colla paga del censo: Mox natus censu Caesaris adscribitur, et ob nostri liberationem ipse servitio adscribitur.11 Eccolo come in segno della sua servitù per cominciare a pagare colle sue pene i nostri debiti, qual servo si lascia da bambino ligare dalle fasce simbolo delle funi, colle quali dovea poi un giorno farsi ligare da’ carnefici per esser condotto alla morte-. Patitur Deus, dice un autore, se pannis alligari, eo quod venerat mundi debita soluturus.12 Eccolo poi per tutta la sua vita ubbidire qual suddito ad una vergine, ad un uomo: Erat subditus illis.13 Eccolo qual servo in quella povera casa di Nazaret applicato da Maria e da Giuseppe ora a dirozzare i legni atti al lavoro dell’arte di Giuseppe, ora a raccogliere i frammenti di quei legni per fuoco, ora a scopar la casa, a prender l’acqua, ad aprire e serrar la bottega; in somma, dice S. Basilio ch’essendo Maria e Giuseppe poveri, e dovendo vivere colle proprie fatiche, Gesù Cristo per esercitare l’ubbidienza e per dimostrare loro la riverenza, che come a superiori loro portava, cercava di far esso tutte le fatiche che umanamente poteva adempire: In prima aetate (Iesus) subditum parentibus omnem laborem corporalem obedienter sustinuit. Cum enim illi essent pauperes, merito laboribus dediti erant. Iesus autem his subditus, omnium etiam simul perferendo labores, obedientiam declarabat (Instit. monach., cap. 4).14 Un Dio che serve! un Dio che scopa la casa! un Dio che fatica! Ah che un pensiero di questi dovrebbe infiammarci tutti e incenerirci d’amore.

Quindi uscendo a predicare il nostro Salvatore, si fece servo di tutti, dichiarando ch’egli non era venuto ad essere servito, ma a servire tutti: Filius hominis non venit ministrari, sed ministrare (Matth. XX, 28). Come se dicesse, secondo commenta Cornelio a Lapide: Ita me gessi et gero, ut velim omnibus ministrare, quasi omnium servus.15 Indi Gesù Cristo in fine di sua vita, dice S. Bernardo che si contentò, non solo di prender la forma di semplice servo, per soggettarsi agli altri, ma anche di servo malvagio, per esser in tal forma castigato, e così pagare la pena che toccava a noi come servi dell’inferno in castigo de’ nostri peccati: Non solum formam servi accipiens, ut subesset, sed etiam mali servi, ut vapularet et servi peccati ut poenam solveret.16 Eccolo finalmente, dice S. Gregorio Nisseno, che ‘l Signore di tutti qual suddito ubbidiente si sottomette alla sentenza benché ingiusta di Pilato, ed alle mani de’ carnefici, che barbaramente lo tormentano e lo crocifiggono: Omnium Dominus iudicis sententiae subiicitur, omnium rex carnificum manum experiri non gravatur (Tom. II, cap. 7).17 E lo disse già prima S. Pietro: Tradebat autem iudicanti se iniuste (I Petr. II, 23). E qual servo che volontariamente si sottomette al castigo, come se giustamente lo meritasse, cum malediceretur non maledicebat, cum pateretur non comminabatur. Sicché questo Dio ci amò a tal segno, che per nostro amore volle ubbidire da servo sino a morire, e morire con una morte amara ed ignominiosa, qual’è la morte di croce: Factus obediens usque ad mortem, mortem autem crucis (Philip. II, 8). Ubbidì non già come Dio, ma come uomo, come servo che si fece: Formam servi accipiens, in similitudinem hominum factus. Fece ammirare il mondo quel grande atto di carità che fé S. Paolino allorché si rendé schiavo per riscattare il figlio ad una povera vedova.18 Ma che ha che fare questa carità con quella del nostro Redentore, che essendo Dio, per riscattar noi dalla schiavitù del demonio e dalla morte a noi dovuta, si fé servo, si fé ligare con funi, si fé inchiodar sulla croce, dove lasciar volle finalmente la vita in un mare di disprezzi e di dolori? Acciocché il servo diventasse padrone, dice S. Agostino, volle Dio farsi servo: Ut servus in dominum verteretur, formam servi Dominus accepit.19

O mira circa nos tuae pietatis dignatio! O inaestimabilis dilectio caritatis! esclama la S. Chiesa (In sab. s., Exult.). O ammirabile opera di misericordia, o imprezzabile degnazione dell’amore divino: Ut servum redimeres Filium tradidisti. Voi dunque, o Dio d’infinita maestà, siete stato cosi preso d’amore verso gli uomini, che per redimere questi servi ribelli, avete voluto condannare alla morte il vostro unico Figlio? Ma, Signore, gli dice all’incontro Giobbe: Quid est homo, quia magnificas eum? aut quid apponis erga eum cor tuum? (Iob VII, 17). Che cosa è l’uomo, il quale è cosi vile, e vi è stato cosi ingrato, che voi lo rendete si grande, onorandolo ed amandolo tanto? Ditemi, siegue a dire, ché tanto v’importa la salute e la felicità dell’uomo? Ditemi perché tanto l’amate, che par che il vostro cuore non attenda ad altro che ad amare e a render beato quest’uomo?

Allegramente dunque, o anime, che amate Dio e sperate in Dio, allegramente; se il peccato di Adamo, e più i peccati propri ci han recato gran danno, intendiamo che bene assai maggior del danno ci ha apportato la Redenzione di Gesù Cristo. Ubi… abundavit delictum, superabundavit gratia, ci fa sapere l’Apostolo (Rom. V, 20). Maggiore è stato l’acquisto dice anche S. Leone – che noi abbiamo fatto per la grazia del Redentore, che non è stata la perdita che abbiam patita per opera del demonio: Ampliora adepti sumus per Christi gratiam, quam per diaboli amiseramus invidiam (Serm. 1, de Ascens.).20 E ‘l predisse già Isaia che l’uomo per mezzo di Gesù Cristo dovea ricever da Dio maggiori grazie, che non eran le pene che meritavano i suoi peccati: Suscepit de manu Domini duplicia pro omnibus peccatis suis (Is. XL, 2). Così appunto spiega questo testo l’interprete Adamo appresso Cornelio a Lapide: Deus ita dimisit Ecclesiae iniquitates per Christum, ut duplicia – id est multiplicia bona – susceperit pro poenis peccatorum, quas merebatur.21 Disse il Signore: Ego veni, ut vitam abeant, et abundantius habeant (Io. X,10). Io son venuto a dar la vita all’uomo, ed una vita più abbondante di quella che avea perduta col peccato: Non sicut delictum, ita et donum (Rom. V, 15). È stato grande il peccato dell’uomo, ma più grande è stato, dice l’Apostolo, il dono della Redenzione, la quale non solo è stata sufficiente al rimedio, ma sovrabbondante: Et copiosa apud eum redemptio (Ps. CXXIX, [7]). Dice S. Anselmo che il sacrificio della vita di Gesù Cristo superò ogni debito de’ peccatori: Vita hominis illius superat omne debitum quod debent peccatores (De Red. hom., c. 5).22 Onde la S. Chiesa chiama felice la colpa di Adamo: O felix culpa, quae tantum meruit habere Redemptorem!23 È vero che ‘l peccato ci ha ottenebrata la mente nella cognizione delle verità eterne, e ci ha intromessa nell’anima la concupiscenza verso i beni sensibili e vietati dalla divina legge; sì, ma quanti aiuti e mezzi ci ha ottenuti Gesù Cristo co’ suoi meriti, per acquistare la luce e la forza di vincere tutti i nostri nemici, e d’avanzarci nelle virtù! I santi sacramenti, il sacrificio della Messa, la preghiera a Dio per li meriti di Gesù Cristo, ah che queste son armi e mezzi valevoli non solo ad ottener la vittoria contro ogni tentazione e concupiscenza, ma anche di correre e volare nella via della perfezione. È certo che con questi mezzi stessi che son dati a noi, si son fatti santi tutti i santi della nuova legge. La colpa e nostra dunque, se non ce ne vogliamo avvalere.

Oh quanto dobbiamo più noi ringraziare Dio, che ci ha fatti nascere dopo la venuta del Messia! Quanti maggiori beni abbiam ricevuto noi dopo la Redenzione fatta da Gesù Cristo! Quanto desiderò Abramo, quanto desiderarono i profeti, i patriarchi dell’antico testamento di veder nato il Redentore! ma non lo videro. Assordarono per così dire i cieli coi loro sospiri e colle loro preghiere. Rorate caeli desuper, esclamavano, et nubes pluant iustum (Is. XLV, 8). Piovete, o cieli, ed inviate a noi il giusto a placare Dio sdegnato, che non può esser placato da noi, poiché tutti siam peccatori. Emitte agnum… dominatorem terrae (Is. XVI, 1). Mandate, o Signore, l’agnello, che sagrificando se stesso soddisferà per noi la vostra giustizia, e cosi regnerà ne’ cuori degli uomini, che in questa terra vivono miseramente schiavi del demonio... Ostende nobis… misericordiam tuam, et salutare tuum da nobis (Ps. LXXXIV, 8). Dimostrate su presto a noi, o Dio delle misericordie, la più gran misericordia che voi ci avete già promessa, cioè il nostro Salvatore. Cosi dunque esclamavano e sospiravano i santi; ma con tutto ciò, per lo spazio di quattromila anni non ebbero già la sorte di veder nato il Messia. Noi si abbiamo avuta questa fortuna. Ma che facciamo? come ce ne sappiamo avvalere? Sappiamo amare quest’amabil Redentore che già è venuto, che già ci ha riscattato dalle mani de’ nostri nemici, ci ha liberati colla sua morte dalla morte eterna da noi meritata, ci ha aperto il paradiso, ci ha provveduti di tanti sagramenti e di tanti aiuti per servirlo ed amarlo con pace in questa vita, e per andare poi a goderlo nell’altra? Fuit ille, dice S. Ambrogio, pannis involutus, ut tu laqueis absolutus sis; illius paupertas meum patrimonium est; infirmitas Domini mea est virtus: lacrimae illae mea delicta laverunt.24 Troppo saresti ingrata al tuo Dio, o anima, se non l’amassi, dopo che ha voluto essere ligato dalle fasce, acciocché tu fossi liberata dai lacci dell’inferno; dopo che si è fatto povero, per far te partecipe delle sue ricchezze, dopo che si è fatto debole, per dare a te la fortezza contro de’ tuoi nemici; dopo che ha voluto patire e piangere acciocché le lagrime sue lavassero i tuoi peccati.

Ma oh Dio e quanti pochi sono stati quelli poi che grati a tanto amore sono stati fedeli ad amare questo lor Redentore! Oimè che la maggior parte degli uomini dopo un tanto beneficio, dopo tante misericordie e tanto amore, dicono a Dio: Signore, non ti vogliamo servire; siamo più contenti d’essere schiavi del demonio e condannati all’inferno, che servi tuoi. Sento che così rinfaccia Iddio a tanti ingrati: Rupisti vincula mea, [et] dixisti: Non serviam (Ier. II, 20). Che dici, fratello mio, sei stato ancor tu uno di questi? Ma dimmi, col vivere lontano da Dio e schiavo del demonio, dimmi sei vivuto contento? Hai avuto pace? Ah che non possono venir meno le parole divine: Eo quod non servieris Domino Deo tuo in gaudio…, servies inimico tuo… in fame et siti et nuditate et omni penuria (Deuter. XXVIII, 47, [48]). Giacché tu non hai voluto servire al tuo Dio, ma al tuo nemico, vedi come questo tiranno ti ha trattato. Ti ha fatto gemere quale schiavo tra le catene, povero, amitto e privo d’ogni consolazione interna. Ma via su, ti parla Dio, ora che stai in istato di poter esser liberato da queste catene di morte da cui ti trovi avvinto, Solve vincula colli tui, captiva filia Sion (Is. LII, 2). Presto, or che vi è tempo, sciogliti, povera anima, che volontariamente ti sei fatta schiava d’inferno, sciogliti da questi infelici lacci che ti tengon destinata per l’inferno; e fatti su ligare dalle mie catene d’oro, catene d’amore, catene di pace, catene di salute: Vincula eius alligatura salutaris (Eccli. VI, 31).25

Ma in qual modo l’anime si ligano con Dio ? Coll’amore. Caritatem habete, quod est vinculum perfectionis (Coloss. III, 14). Un’anima, sempre che cammina per la sola via del timore de’ castighi, e per questo solo timore si astiene dal peccare, sta sempre in gran pericolo di tornare presto a cadere. Ma chi si liga a Dio coll’amore sta certo di non perderlo, sino che l’ama. E perciò bisogna che sempre cerchiamo a Dio il dono del suo santo amore, pregando sempre e dicendo: Signore, tenetemi legato con voi, non permettete ch’io m’abbia a separare da voi e dal vostro amore. Il timore che dobbiamo più desiderare e chiedere a Dio, è il timor filiale, il timor di disgustare questo nostro buono Signore e padre. Ricorriamo ancora sempre alla nostra madre, preghiamo Maria SS. che ci ottenga la grazia di non amare altro che Dio, e ch’ella ci leghi talmente coll’amore al suo Figlio, che non abbiamo a vedercene più divisi col peccato.