Il Santo Rosario in S. Luigi Maria Grignion da Montfort – Parte 2
ECCELLENZA DEL ROSARIO NELLE PREGHIERE CHE LO COMPONGONO
ROSA UNDECIMA
Nella seconda decina, S. Luigi Maria Grignion da Montfort, ci illustra in modo meraviglioso, l’eccellenza del Santo Rosario nelle preghiere che lo compongono.
Al n. 34, ci esorta ad iniziare la preghiera, professando la nostra fede con la recita del Credo sul crocifisso della corona, illuminandoci sul perché:
“Il Credo o Simbolo degli Apostoli, recitato sul Crocifisso della corona, essendo il compendio delle verità cristiane, è preghiera molto meritoria perché la fede è base, fondamento e principio di tutte le virtù cristiane, di tutte le verità eterne e di tutte le preghiere gradite a Dio. Chi s’accosta a Dio deve credere (Eb 11,6): chi si accosta a Dio con la preghiera deve incominciare con un atto di fede; più avrà fede e più la sua preghiera sarà efficace e meritoria per lui e gloriosa per Dio.”
Il Santo non vuole dilungarsi nella spiegazione delle formule del Simbolo Apostolico, si sofferma, però, sulle prime tre parole: “Credo in Dio” facendo notare che queste contengono gli atti delle tre virtù teologali: “Fede, Speranza e Carità” , che hanno una potente efficacia per la santificazione delle anime e che ci aiutano nella vittoria sul demonio.
I santi, hanno vinto le tentazioni professando la propria fede, prosegue il Santo, soprattutto quelle contro le tre virtù, sia durante la vita che al momento della morte. “Io credo” sono anche le ultime parole che S. Pietro riuscì a tracciare col dito sulla sabbia, dopo essere stato colpito dalla sciabola di un eretico, mentre stava per spirare.
Al n.35, il Santo ci fa notare quanto sia fondamentale la fede per comprendere i misteri del santo Rosario, una fede che deve essere coraggiosa e accesa di carità:
“La fede è l’unica chiave che ci apre la comprensione dei misteri di Gesù e di Maria espressi dal santo Rosario; perciò all’inizio occorre recitare il Credo con grande attenzione e devozione, poiché – lo ripeto – più viva e forte è la nostra fede e più il Rosario sarà valido. “
Per recitare bene il santo Rosario, è necessario, innanzitutto, prosegue il da Montfort, essere in grazia di Dio, oppure avere il fermo proposito di riacquistarla. La fede è l’elemento cardine per aprire il cuore alla comprensione dei misteri, una fede “robusta e costante” stimolata dall’amore.
Nel Rosario, ci spiega il Santo, non dobbiamo cercare la nostra consolazione spirituale, altrimenti, nei momenti di distrazioni, anche se involontarie, lo abbandoneremmo all’istante.
Non vi è nessuna necessità, insiste il Santo, di trovare piacere o consolazioni recitando il Rosario, oppure di lacrime o sospiri e neppure applicare una certa immaginazione. Bastano solo due elementi: la fede pura e la retta intenzione. (Inno Pange Lingua)
ROSA DODICESIMA
Nella rosa dodicesima, il Santo ci parla dell’eccellenza del Padre nostro (orazione domenicale) perché l’autore di questa stupenda preghiera, non è un uomo qualunque e neppure un angelo, ma “è il Re degli Angeli e degli uomini, Cristo Gesù”.
Al n. 36 scrive:
“Il Pater o orazione domenicale trae tutta la sua eccellenza dall’autore che non è un qualunque uomo non è un angelo, ma è il Re degli Angeli e degli uomini, Cristo Gesù. “Era necessario – dice san Cipriano – che chi veniva come Salvatore a darci la vita della grazia, ci insegnasse anche come celeste Maestro il modo di pregare” (S. CIPRIANO, De oratione dominica, n. 1-2, PL 4, 537). La sapienza del divino Maestro appare luminosa nell’ordine, nella forza e nella chiarezza di questa divina preghiera, che è breve, ma ricca di insegnamenti, è accessibile ai semplici mentre è colma di mistero per i dotti.
Il Pater contiene tutti i nostri doveri verso Dio, gli atti di tutte le virtù e la richiesta per ogni nostro bisogno spirituale e materiale. “E’ ‘il compendio dei Vangeli”, dice Tertulliano (TERTULLIANO, Liber de Oratione “Evangelii Breviarium”, c. 1, PL 1, 1255). “Supera tutti i desideri dei santi” – dice Tommaso da Kempis (TOMMASO DA KEMPIS, Enchiridion Monachorum, e. 3) – contiene in breve tutte le soavi aspirazioni dei Salmi e dei cantici; chiede tutto ciò che è necessario a noi, loda Dio in modo eccellente ed eleva l’anima dalla terra al cielo e l’unisce strettamente a Dio.”
Al n.37, il nostro Santo ci ricorda che “Chi non prega come ha pregato e insegnato il Maestro, non è suo discepolo.” (S. Giovanni Crisostomo, Homilia XIX in Matt e.6, PG 57,275), perché Dio Padre gradisce, soprattutto, di essere invocato con la preghiera che il suo stesso Figlio ci ha insegnato, piuttosto che con preghiere scaturite dalla mente umana.
“Dobbiamo recitare l’orazione domenicale con la certezza che l’eterno Padre la esaudirà perché è la preghiera del Figlio che sempre Egli esaudisce e del quale noi siamo membra. Potrebbe, infatti, un Padre buono rifiutare una richiesta bene concepita e appoggiata sui meriti e sulla presentazione di un così degno Figlio? Sant’Agostino (S. AGOSTINO, Sermo 182 De tempore; o meglio: De Civitate Dei, L. 21, e. 27, PL 41, 748) assicura che il Pater recitato bene cancella le colpe veniali. Il giusto cade sette volte al giorno, ma con le sette domande contenute nell’Orazione domenicale egli può rialzarsi dalle sue cadute e fortificarsi contro i suoi nemici.”
Il Pater, infatti, è una preghiera breve e semplice affinché possiamo tutti recitarla spesso e con grande devozione, per questo possiamo ricevere più velocemente l’aiuto di cui abbiamo bisogno.
Al n. 38, Non dobbiamo ingannare noi stessi, ci avverte il Santo, preferendo le preghiere scritte dagli uomini per trascurare quella composta da Gesù, come se l’uomo ne sapesse più del Figlio di Dio. Abbandonare la preghiera che Gesù ci ha insegnato per recitare quelle scritte dagli uomini, è una tentazione pericolosa.
“Non disapproviamo le preghiere composte dai Santi per eccitarci a lodare Dio, ma non possiamo ammettere che siano preferite a quella uscita dalla bocca della Sapienza incarnata, che si lasci la sorgente per mettersi in cerca di ruscelli, che si sdegni l’acqua limpida per bere quella torbida. Sì, perché insomma il Rosario, che si compone della preghiera domenicale e del saluto angelico, è quest’acqua limpida e perenne che sgorga dalla sorgente della Grazia, mentre le altre preghiere cercate qua e là nei libri, sono i rivoli che da essa scaturiscono.”
Al n.39, il Santo elogia colui che recita e medita parola per parola, la preghiera che il Signore ci ha insegnato, definendolo “felice”, perché in questa preghiera può trovare tutto ciò che desidera e di cui ha bisogno.
Dal 39 al n. 43 il Santo analizza ampiamente, in modo dettagliato e profondo, la preghiera del Pater che Gesù ci ha donato per onorare il Padre Suo come si conviene. Per questo è molto importante recitarla spesso e con lo stesso spirito che nostro Signore ci ha insegnato.
ROSA TREDICESIMA
In questa Rosa, S. Luigi Maria Grignion da Montfort, ci conduce per mano nella meditazione di ogni singola parola del Pater, facendoci comprendere come, in questo modo, possiamo onorare tutte le perfezioni del Padre:
“Ogni parola dell’orazione domenicale onora le perfezioni di Dio. Onoriamo la sua fecondità chiamandolo Padre: Padre che generi da tutta l’eternità un Figlio che è Dio come te, eterno, consustanziale, che è una stessa essenza, una stessa potenza, una stessa bontà, una stessa sapienza con te: Padre e Figlio che amandovi producete lo Spirito Santo che è Dio come voi, tre adorabili Persone che siete un solo Dio” (N. 41)
ROSA QUATTORDICESIMA
Il Santo prosegue con la meditazione approfondita del Pater, facendoci comprendere come, recitando devotamente questa divina preghiera, possiamo compiere tanti atti delle virtù cristiane più nobili, quante sono le parole pronunciate:
“Alle parole: Padre nostro che sei nei cieli, facciamo atti di fede, di adorazione, di umiltà. Desiderando che il suo nome sia santificato e glorificato, manifestiamo zelo ardente per la sua gloria. Chiedendogli il possesso del suo regno, facciamo un atto di speranza. Desiderando che il suo volere si compia sulla terra come in cielo, riveliamo uno spirito di perfetta obbedienza. Chiedendogli il pane di ogni giorno, pratichiamo la povertà di spirito ed il distacco dai beni della terra. Pregandolo di perdonare i nostri peccati, facciamo un atto di contrizione. Perdonando a coloro che ci hanno offeso, esercitiamo la misericordia nella più alta perfezione. Implorando l’aiuto nelle tentazioni, facciamo atti di umiltà, di prudenza e di fortezza. Aspettando che ci liberi dal male, pratichiamo la pazienza. Finalmente domandando tutte queste cose non soltanto per noi ma anche per il prossimo e per tutti i membri della Chiesa ci comportiamo da veri figli di Dio, lo imitiamo nella sua carità che abbraccia tutti gli uomini ed adempiamo al comandamento di amare il prossimo” ( 42).
Il Santo, continua dicendo che, quando il cuore, la lingua e le nostre intenzioni sono concordi e in armonia tra loro, allora, sentiamo di detestare il peccato, di conseguenza, obbediamo a tutti i comandamenti di Dio. Ci rendiamo conto della Sua grandezza e della sua maestà, quindi, proviamo un profondo senso di rispetto dinanzi alla sua divina presenza, siamo presi dal giusto timore rendendoci conto di tutta la nostra nullità e, l’orgoglio, scompare.
“Infine, quando preghiamo Dio di liberarci dal male, temiamo la sua giustizia e siamo beati perché il timore di Dio è il principio della sapienza: il timore di Dio fa evitare il peccato” (43)
Dalla ROSA QUINDICESIMA alla ROSA VENTESIMA, S. Luigi, analizza in modo molto approfondito, il saluto angelico, perché:
“Il saluto angelico è tanto sublime e nobile che il beato Alano della Rupe giudicò che nessuna creatura può capirlo: “Solo Gesù Cristo – asseriva – nato dalla Vergine Maria, è in grado di spiegarlo” (n.44).
L’eccellenza dell’Ave Maria, spiega il Santo, deriva dall’essere il saluto che l’Arcangelo Gabriele portò dal Cielo alla Vergine Santa, allo scopo dell’Incarnazione del Verbo di Dio.
“Il saluto angelico riassume nel modo più conciso tutta la teologia cristiana sulla Vergine santa. Ci sono una lode ed un’invocazione. La lode racchiude tutto ciò che costituisce la vera grandezza di Maria e l’invocazione tutto ciò che le dobbiamo chiedere e possiamo attendere dalla sua bontà a nostro riguardo.
La SS. Ma Trinità ne rivelò la prima parte; santa Elisabetta, illuminata dallo Spirito Santo, vi aggiunse la seconda, e la Chiesa, nel primo Concilio di Efeso (a. 431) ne suggerì la conclusione dopo aver condannato l’errore di Nestorio e definito che la Vergine è vera Madre di Dio. Il Concilio stabilì che la Madonna venisse invocata sotto quel glorioso titolo con le parole: “Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte”. (n.44)
“Il saluto angelico contiene la fede e la speranza dei patriarchi, dei profeti e degli apostoli. È la costanza e la forza dei martiri, la scienza dei dottori, la perseveranza dei confessori e la vita dei religiosi (Beato Alano). È il cantico nuovo della legge di grazia, la gioia degli angeli e degli uomini, il terrore e la confusione dei demoni.” (n.45)
Santa Matilde desiderava conoscere il modo migliore per testimoniare la tenerezza della sua devozione alla Madre di Dio. Un giorno, rapita in estasi vide la Vergine santissima che portava sul petto a caratteri d’oro le parole del saluto angelico. E le disse: “Sappi, figlia mia, che nessuno può onorarmi con un saluto più gradito di quello che l’adorabile Trinità mi rivolse per mezzo dell’Angelo e col quale mi elevò alla dignità di Madre di Dio. Con la parola Ave, che è il nome di Eva, appresi come Dio con la sua onnipotenza mi avesse preservata da ogni macchia di peccato e dalle miserie alle quali andò soggetta la prima donna. Il nome Maria, che significa Signora della luce, fa capire che Dio mi riempì di sapienza e di luce perché illuminassi, come astro lucente, il cielo e la terra. Le parole piena di grazia mi ricordano che lo Spirito Santo mi ricolmò talmente di grazie da poter renderne partecipi in abbondanza quanti le domandano per mia intercessione. Dicendomi: Il Signore è con te, si rinnova nel mio cuore l’ineffabile gioia che provai quando il Verbo eterno si incarnò nel mio seno. Quando odo le parole: tu sei benedetta fra tutte le donne, lodo la misericordia di Dio che mi elevò a così alto grado di felicità. Infine, alle parole: e benedetto il frutto del tuo seno, Gesù, tutto il cielo si rallegra con me di vedere mio figlio Gesù adorato e glorificato per aver salvato il mondo” (n.48).
Quando recitiamo l’Ave Maria, ci illumina il Santo, noi diamo gloria alla SS. Ma Trinità e lodiamo la Vergine nella maniera più perfetta.
Infatti, gli antichi Israeliti cantavano a Dio per dimostrare la loro riconoscenza per la creazione, per la conservazione, per la libertà dalla schiavitù, per il passaggio dal Mar Rosso, per la manna e per molti atri favori ricevuti dal Cielo.
Davide, però, predisse che alla venuta del Messia, si sarebbe cantato un canto nuovo, quello che i cristiani cantano per ringraziare Dio per l’Incarnazione e per la Redenzione. Tutto ciò grazie al Saluto Angelico, e noi lo ripetiamo per ringraziare la SS. Trinità per i molti ed incommensurabili benefici.
Il Santo, prosegue poi, in una sublime spiegazione, parola per parola, dell’Ave Maria, spiegando che, in qualunque triste situazione ci trovassimo, di peccato, di afflizione o di smarrimento, è bene ricorrere a Maria che significa: Stella del mare, Stella polare, guida alla nostra navigazione del mondo ed Ella ci condurrà di certo, alla salvezza.
E termina dicendo:
“Chi non ammirerà l’eccellenza del Rosario composto di queste due parti: l’Orazione domenicale ed il Saluto angelico? Esiste, forse, preghiera più gradita a Dio e alla Vergine santa? più facile, più soave, più salutare per gli uomini? Teniamo continuamente nel cuore e sulle labbra quelle preghiere per onorare la SS. Trinità, Cristo Gesù nostro Salvatore e la santissima sua Madre. Al termine di ogni posta sarà bene aggiungere il Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, come era nel principio, e ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen”