IX Giorno della Novena di Natale

24 dicembre

Preghiera

Adorato mio Bambino, io non avrei ardire di stare ai tuoi piedi, se non sapessi che tu stesso m’inviti ad accostarmi a te. Giacché tu sei venuto in terra a perdonare i peccatori pentiti, perdona ancora, mentre io mi pento sommamente di aver disprezzato te, mio Salvatore e Dio, che sei così buono e tanto mi hai amato. Tu in questa notte dispensi grazie grandi a tante anime, consola anche l’anima mia. La grazia che voglio è la grazia d’amarti, da oggi in avanti, con tutto il mio cuore; infiammami tutto del tuo amore. Ti amo, Dio fatto bambino per me. Deh, non permettere che io lasci mai d’amarti.
O Maria, Madre mia, tu tutto puoi con le tue preghiere, altro non ti domando, prega Gesù per me.

3 Gloria

Gesù Bambino, abbi pietà di me

Meditazioni per la Novena di Natale di S Alfonso M de Liguori

Venite Adoremus

DISCORSO IX – Il Verbo Eterno da sublime si fece umile.

Discite a me, quia mitis sum, et humilis corde. (Matth. XI, 29).

La superbia fu la prima causa della caduta de’ nostri primi parenti, i quali per non volersi sottomettere alla divina ubbidienza, perderono se stessi e tutto il genere umano. Ma la misericordia di Dio per rimedio d’una tanta ruina fece che il suo Unigenito si umiliasse a prendere carne umana, e coll’esempio della sua vita inducesse l’uomo ad innamorarsi della santa umiltà, e a detestare la superbia, che ci rende odiosi agli uomini e a Dio. A tal fine c’invita oggi S. Bernardo a visitare la grotta di Betlemme, con dirci: Transeamus usque Bethlehem, ibi habemus quod admiremur, quod amemus, quod imitemur.1 Sì in quella spelonca avremo per prima che ammirare. Come! un Dio in una stalla! un Dio sulla paglia! Come! quel Dio che siede in trono di maestà, il più sublime nel cielo: Vidi Dominum, disse Isaia, super solium excelsum et elevatum (VI, 1); vederlo collocato poi dove? In una mangiatoia, sconosciuto e abbandonato, sì che appena gli stan d’intorno due animali e pochi poveri pastori! – Habemus quod amemus, ben troveremo ivi a chi mettere il nostro affetto, trovando un Dio, bene infinito, che ha voluto avvilirsi a comparire nel mondo da povero bambino, per farsi a noi più amabile e caro, come diceva lo stesso S. Bernardo: Quantum mihi vilior, tantum mihi carior.2 – Troveremo finalmente che imitare, habemus quod imitemur: il sublime, il Re del cielo, fatto umile, piccolo e povero bambino, che già in questa grotta vuol cominciare dalla sua infanzia ad insegnarci col suo esempio quel che poi dovrà dirci colla voce. Clamat exemplo – parla il medesimo santo abbate – quod post docturus est verbo: Discite a me, quia mitis sum et humilis corde.3 Cerchiamo lume a Gesù e a Maria.

Chi non sa che Dio è il primo, il sommo nobile, dal quale ogni nobiltà dipende? Egli è l’infinita grandezza. Egli è indipendente, sicché la sua grandezza non l’ha ricevuta da altri, ma sempre l’ha posseduta in se stesso. Egli è il Signore del tutto, a cui tutte le creature ubbidiscono: Mare et venti obediunt ei (Matth. VIII, 27).4 Dunque ha ragione di dire l’apostolo che solo a Dio spetta l’onore e la gloria: Soli Deo honor et gloria (I Tim. I,17). Ma il Verbo Eterno per recar rimedio alla disgrazia dell’uomo, che per la sua superbia si era perduto, siccome fecesi esempio di povertà – come considerammo nel precedente discorso – per distaccarlo da i beni mondani; così volle anche farsi esempio di umiltà, per liberarlo dal vizio della superbia. Ed in ciò il primo e maggior esempio d’umiltà fu il farsi uomo e vestirsi delle nostre miserie: Habitu inventus ut homo (Philip. II, [7]). Dice Cassiano, che colui che si mette la veste d’un altro, sotto quella si nasconde; così Dio nascose la sua natura divina sotto l’umile veste di carne umana: Qui vestitur, sub veste absconditur; sic natura divina sub carnis veste se delituit.5 E S. Bernardo: Contraxit se maiestas, ut se ipsum limo nostro coniungeret, et in persona una uniretur Deus et limus, maiestas et infirmitas, tanta vilitas et sublimitas tanta (Serm. 3, in vigil. Nat.).6 Un Dio unirsi al fango! la grandezza alla miseria! la sublimità alla viltà! Ma quello che più dee farci stupire, è che non solo un Dio volle comparir creatura, ma volle comparir peccatore, vestendosi di carne peccatrice: Deus Filium suum mittens in similitudinem carnis peccati (Rom. VIII, 3).

Ma non fu contento il Figlio di Dio di comparir uomo, ed uomo peccatore; di più volle eleggersi una vita la più bassa ed umile tra gli uomini; talmente che Isaia ebbe a chiamarlo l’ultimo, il più umiliato tra gli uomini: Novissimum virorum (Is., c. LIII, [3] ). Geremia disse che doveva esser saziato d’ignominie: Satiabitur opprobriis (Thren. III, 30).7 E Davide che dovea rendersi l’obbrobrio degli uomini, e ‘l rifiuto della plebe: Opprobrium hominum et abiectio plebis (Ps. CXXI, 6)8 A tal fine volle nascer Gesù Cristo nel modo più vile che possa immaginarsi. Quale obbrobrio d’un uomo, ancorché povero, è l’esser nato in una stalla? Chi nasce nelle stalle? I poveri nascono nelle casucce, almeno nella paglia, ma non già nelle stalle; nelle stalle appena nascono le bestie, i vermi; e da verme volle nascere in terra il Figlio di Dio: Ego vermis, et non homo (Iob, XXI, 7).9 Sì, con tale umiltà, dice S. Agostino, nascer volle il Re dell’universo, per dimostrarci nella stessa umiltà la sua maestà e potenza, in rendere col suo esempio amanti dell’umiltà quegli uomini, che nascono tutti pieni di superbia: Sic nasci voluit Excelsus humilis, ut in ipsa humilitate ostenderet maiestatem (S. Aug., I. 2, de Symb., c. 5).10

L’angelo annunziò a’ pastori la nascita del Messia, e i segni che diede loro per ritrovarlo e riconoscerlo, furono tutti segni d’umiltà. Quel bambino, disse, che troverete in una stalla fasciato tra’ panni, e collocato in una mangiatoia sulla paglia, quello sappiate ch’è il vostro Salvatore: Et hoc vobis signum, invenietis infantem pannis involutum et positum in praesepio (Luc. II, [12]). Così fa trovarsi un Dio che viene in terra a distruggere la superbia. La vita poi che Gesù Cristo fece in Egitto, dopo essere stato esiliato, fu conforme alla sua nascita. Visse ivi, per quegli anni che vi stette, da forestiere, sconosciuto e povero tra quei barbari; ivi chi mai lo conosceva? chi ne facea conto? Ritornò nella Giudea; e la sua vita non fu molto dissimile da quella che avea fatta in Egitto. Visse per trent’anni in una bottega, stimato da tutti per figlio d’un vile artigiano, facendo l’officio di semplice garzone, povero, nascosto, e disprezzato. In quella santa famiglia non v’erano già né servi, né serve. Ioseph et Maria – scrisse S. Pier Grisologo – non habent famulum, non ancillam: ipsi domini et famuli.11 Un solo servo vi era in questa casa, ed era il Figlio di Dio, che volle farsi figlio dell’uomo, cioè di Maria, per farsi umile servo, e qual servo ubbidire ad un uomo e ad una donna: Et erat subditus illis (Luc. II, 51).

Dopo trent’anni di vita nascosta, venne finalmente il tempo che ‘l nostro Salvatore dovette comparire in pubblico a predicare le sue celesti dottrine, ch’egli dal cielo era venuto ad insegnarci; e perciò fu bisogno che si facesse conoscere per quello ch’era, vero Figlio di Dio. Ma oh Dio, quanti furono coloro che lo riconobbero e l’onorarono come meritava? Toltine pochi discepoli che lo seguirono, tutti gli altri in vece d’onorarlo lo disprezzarono qual uomo vile ed impostore. Ah che allora maggiormente si avverò la profezia di Simeone: Positus est hic… in signum cui contradicetur (Luc. II, [34] ). Fu Gesù Cristo contraddetto e disprezzato in tutto. Disprezzato nella dottrina, poiché palesando ch’egli era l’Unigenito di Dio, fu stimato bestemmiatore, e come tale giudicato degno di morte; così disse l’empio Caifas: Blasphemavit, reus est mortis (Io. IX, 22).12 Disprezzato nella sapienza, mentre fu stimato pazzo, privo di senno: Insanit, quid eum auditis? (Io. X, 20). Disprezzato ne’ costumi, mentre fu stimato crapulone, ubbriaco, ed amico dei ribaldi: Ecce homo devorator, [et] bibens vinum, amicus publicanorum et peccatorum (Luc. VII, 34). Fu stimato stregone che avesse commercio co’ demoni: In principe daemoniorum eiicit daemonia (Matth. IX, 34).13 Stimato eretico e indemoniato: Nonne bene dicimus nos, quia samaritanus es tu, et daemonium habes? (Io. VIII, 48). Stimato seduttore: Quia seductor ille dixit etc. (Matth. XXVII, 63). In somma fu stimato Gesù Cristo uomo così scellerato appresso il pubblico, che non vi bisognasse processo per condannarlo a morir crocifisso, siccome dissero gli Ebrei a Pilato: Si non esset hic malefactor, non [tibi] tradidissemus eum (Io. XVIII, 30).

Giunse in fine il Salvatore finalmente al termine di sua vita, ed alla sua Passione; e nella sua Passione, oh Dio, quali disprezzi e vilipendi non ricevette! Fu tradito e venduto da uno de’ suoi stessi discepoli per trenta danari, prezzo minore di quel che vale una bestia. Da un altro discepolo fu rinnegato. Fu portato per tutte le vie di Gerusalemme ligato da ribaldo, abbandonato da tutti, anche dagli altri suoi pochi discepoli. Fu trattato vilmente da schiavo col castigo de’ flagelli. Fu schiaffeggiato in pubblico, fu trattato da pazzo, facendolo vestire Erode con una veste bianca per farlo riputare- quale scemo senza senno: Sprevit illum tamquam ignorantem, dice S. Bonaventura, quia verbum non respondit: tamquam stolidum, quia se non defendit.14 Fu trattato da re di burla, con porgli nelle mani una canna rozza in vece di scettro, uno straccio rosso sulle spalle in vece di porpora, ed un fascio di spine in testa in vece di corona; e quindi deridendolo lo salutavano: Ave Rex Iudaeorum;15 e poi lo caricavano di sputi e di guanciate: Et exspuentes in eum (Matth. XXVII, [30]). Et dabant ei alapas (Io. XIX, [3]).- Finalmente volle morire Gesù Cristo, ma con qual morte? colla morte più ignominiosa, quale fu la morte di croce: Humiliavit semet ipsum factus obediens usque ad mortem, mortem autem crucis (Philip. II, 8). Chi moriva allora giustiziato in croce, era stimato il più vile e ribaldo fra’ rei: Maledictus [omnis] qui pendet in ligno (Galat. III, 13). Onde il nome de’ crocifissi restava per sempre maledetto ed infamato. Perciò scrisse l’Apostolo: Christus factus est pro nobis maledictum (Galat. III).16 Commenta S. Atanagio: Dicitur maledictum, quod pro nobis maledictum suscepit.17 Volle Gesù prender sopra di sé una tal maledizione, per salvare noi dalla maledizione eterna. Ma dove, Signore, esclama S. Tomaso da Villanova, dov’è il tuo decoro, la tua maestà nello stato di tanta ignominia? Ubi est, Deus, gloria tua, maiestas tua? E risponde: Noli quaerere, extasim passus est Deus (Ser. de Transfig.).18

E vuol dire il santo: Non andar cercando gloria e maestà in Gesù Cristo, poich’egli è venuto a dar esempio di umiltà ed a manifestare l’amore che porta agli uomini, e l’amore l’ha fatto quasi uscir di se stesso.

Fonte: https: intratext.com