VIII Giorno della Novena di Natale

23 dicembre

Preghiera

O Gesù mio Salvatore, quando penso che tu, mio Dio, ti trattenesti tanti anni per amor mio sconosciuto e disprezzato in una povera casetta, come posso desiderare diletti, onori e ricchezze? Io rinunzio a tutti questi beni e voglio essere tuo compagno in questa terra, povero come te, mortificato come te e come te disprezzato; così spero di poter guardare un giorno poi la tua compagnia in Paradiso. Che regni, che tesori! Tu, Gesù mio, hai da esser l’unico mio tesoro, l’unico mio bene. Dio mio, non ti voglio offendere più, e ti voglio sempre amare. Dammi tu l’aiuto per esserti fedele fino alla morte.
Maria, tu sei il rifugio dei peccatori, tu sei la speranza mia.

3 Gloria

Gesù Bambino, abbi pietà di noi

 

Meditazioni per la Novena di Natale di S Alfonso de Liguori

DISCORSO VIII – Il Verbo Eterno da ricco si fece povero.

Excutere de pulvere, consurge, sede, Ierusalem (Isaia, LII, 2).

Via su, anima cristiana, ti dice il profeta, scuotiti dalla polvere degli affetti terreni: Excutere de pulvere, consurge; via su alzati dal fango, dove stai miseramente a giacere; e siedi, sede, Ierusalem, siedi regina a dominare sopra le passioni che t’insidiano la gloria eterna, e ti espongono al pericolo d’un’eterna ruina. Ma che avrà da fare quest’anima per giungere a ciò? Guardare e considerare la vita di Gesù Cristo, il quale essendo quel ricco che possiede tutte le ricchezze del cielo e della terra, si è fatto povero, disprezzando tutti i beni della terra. Chi considera Gesù fatto povero per suo amore, non è possibile che non si muova a disprezzar tutto per amor di Gesù. Consideriamolo noi, e perciò cerchiamo lume a Gesù ed a Maria.

Quanto v’è nel cielo e nella terra, tutto è di Dio: Meus est… orbis terrae, dice il Signore, et plenitudo eius (Ps. XLIX, 12). Ma questo è poco, il cielo e la terra non è il tutto, ma è una minima parte delle ricchezze di Dio. Dio è quel ricco, la di cui ricchezza è infinita, e non può mancare; perché la sua ricchezza non dipende da altri, ma la possiede in se stesso ch’è bene infinito. Perciò dicea Davide: Deus meus es tu, quoniam bonorum meorum non eges (Ps. XV, 2). Or questo Dio sì ricco si fé povero col farsi uomo, affin di far diventare ricchi noi poveri peccatori: Egenus factus est, cum esset dives, ut illius inopia vos divites essetis (II Cor. VIII, 9). Come? un Dio venire a farsi povero! E perché? Intendiamo il perché. I beni di questa terra non possono essere che terra e fango, ma fango che acceca talmente gli uomini, ch’essi non vedono più quali siano i veri beni. Prima della venuta di Gesù Cristo, era il mondo pieno di tenebra, perché pieno di peccati. Omnis… caro corruperat viam suam (Gen. VI, 12): Ogni uomo avea corrotta la legge e la ragione, sì che vivendo come bruti, intenti solo ad acquistarsi beni e piaceri di questa terra, niente più curavano de’ beni eterni. Ma la divina misericordia fé che venisse lo stesso Figlio di Dio ad illuminare questi uomini accecati: Habitantibus in regione umbrae mortis, lux orta est eis (Isaia, IX, 2).

Gesù fu chiamato la luce delle genti: Lumen ad revelationem gentium:1 lux in tenebris lucet.2 Già il Signore prima ci avea promesso di farsi egli medesimo il nostro maestro, e maestro visibile agli occhi nostri; il quale venisse ad insegnarci la via della salute, ch’è la pratica delle sante virtù, e specialmente della santa povertà. Et erunt oculi tui videntes praeceptorem tuum (Is. XXX, 20). Ma questo maestro dovea insegnarci non solo colla voce, ma ancora, anzi più coll’esempio della sua vita. Dice S. Bernardo che la povertà non si ritrovava in cielo, solo in terra poteva trovarsi; ma l’uomo non conosceva il di lei pregio, e perciò non la cercava. Pertanto il Figlio di Dio discese dal cielo in terra, e l’elesse per compagna di tutta la sua vita, per renderla col suo esempio anche a noi preziosa e desiderabile: Paupertas non inveniebatur in caelis, porro in terris abundabat, et nesciebat homo pretium eius. Hanc itaque Filius concupiscens descendit, ut eam eligat sibi, et nobis sua aestimatione faciat pretiosam (Serm. 1, in vig. Nat.).3 Ed ecco il nostro Redentor bambino, che già sul principio di sua vita è fatto maestro di povertà nella spelonca di Betlemme, chiamata appunto dallo stesso S. Bernardo, Schola Christi,4 e da sant’Agostino, Spelunca magistra.5

A questo fine dispose Dio che uscisse l’editto di Cesare, acciocché il Figlio nascesse non solo povero, ma il più povero di tutti gli uomini, facendolo nascere fuori della propria casa, in una grotta ch’era stanza d’animali. Gli altri poveri, nascendo nelle loro case, almeno nascono con qualche maggior comodità di panni, di fuoco, e d’assistenza di persone, che almeno per compassione loro soccorrono. Qual figlio mai di alcun povero nasce nelle stalle? Nelle stalle appena nascono le bestie. Come ciò avvenisse, lo narra S. Luca. Venuto il tempo che Maria dovea partorire, Giuseppe le va cercando alloggio in Betlemme. Va girando e cercandolo per le case, ma non lo trova. Lo va a cercare nell’osteria, e neppure lo trova. Non erat eis locus in diversorio (Luc. II, 7). Onde fu costretta Maria a ricoverarsi e partorire in quella spelonca, dove con tutto il concorso di tanta gente non vi stavano già uomini, ma appena erano due animali. – A’ figli de’ principi che nascono si apprestano le stanze calde e addobbate di arazzi, le culle d’argento, e i panni più fini, coll’assistenza de’ primi nobili e dame del regno. Al re del cielo in vece della stanza addobbata e calda gli tocca una grotta fredda, vestita d’erbe: in vece delle coltrici di piume, gli tocca un poco di paglia dura e pungente: in vece de’ panni fini, gli toccano poveri pannicelli, rozzi, freddi ed umidi: Conditor angelorum, dice S. Pier Damiani, non ostro opertus, sed vilibus legitur panniculis involutus. Erubescat terrena superbia, ubi coruscat humilitas Salvatoris (Lib, 6, cap. 18).6 In vece di fuoco, e dell’assistenza de’ grandi, appena gli tocca l’alito e la compagnia di due bestie: in vece finalmente della culla d’argento, gli tocca una vil mangiatoia.- Come? dice S. Gregorio Nisseno, il Re de’ regi, che riempie il cielo e la terra, non trova altro luogo nascendo che un povero presepio di animali? Qui complexu suo ambit omnia, in brutorum praesepe reclinatur?7 Sì, perché questo Re de’ regi per nostro amore voll’esser povero, ed il più povero di tutti. Almeno i bambini de’ poveri hanno latte che basta a saziarli; ma anche in ciò voll’esser povero Gesù Cristo, mentre il latte di Maria era latte miracoloso, di cui era ella provveduta, non dalla natura, ma dal cielo, come ci avvisa la santa Chiesa: Virgo lactabat ubere de caelo pleno.8 E Dio, per compiacere il desiderio di suo Figlio, che voleva essere il più povero di tutti, non provvide Maria di latte abbondante, ma solamente di quello che appena bastava per sostentare la vita del Figlio; onde canta la stessa santa Chiesa: Modico lacte pastus est.9

E conforme nacque povero Gesù Cristo, così seguì a viver povero in tutta la sua vita; e non solo povero, ma mendico, mentre la parola egenus di S. Paolo,10 nel testo greco significa mendico; onde dice Cornelio a Lapide: Patet Christum non tantum pauperem fuisse, sed etiam mendicum.11 Il nostro Redentore dopo esser nato così povero, fu costretto a fuggire dalla patria in Egitto. In questo viaggio S. Bonaventura va considerando e compatendo la povertà di Maria e di Giuseppe, che viaggiano da poveri, per un cammino così lungo, portando il santo bambino, che molto venne a patire per la loro povertà. Quomodo, dice il santo, faciebant de victu? Ubi nocte quiescebant ? Quomodo hospitabantur?12 Ma di che altro potevano cibarsi, che di poco pane, e duro ? Dove di notte alloggiavano in quel deserto, se non sopra il terreno allo scoperto e sotto qualche albero? Oh chi mai avesse incontrati per quelle vie questi tre gran pellegrini, per quali mai gli avrebbe allora riputati, se non per tre poveri mendici! – Giungono in Egitto; ed ivi ciascun può considerare, essendo essi poveri e forestieri, senza parenti, senza amici, la gran povertà che dovettero soffrire per quei sette anni che vi abitarono. Dice S. Basilio che in Egitto appena arrivavano a sostentarsi, procacciandosi il vitto colle fatiche delle loro mani: Sudores frequentabant, necessaria vitae inde sibi quaerentes.13 Scrisse Landolfo da Sassonia che talvolta Gesù fanciullo costretto dalla fame andava a cercare un poco di pane a Maria. e Maria lo licenziava, dicendo che non vi era pane: Aliquando Filius famem patiens panem petiit, nec unde daret Mater habuit (In vita Christi, c. 13).14

Da Egitto passano di nuovo alla Palestina a vivere in Nazaret, ed ivi siegue Gesù a vivere da povero. Ivi la casa è povera, e povera la suppellettile: Domus paupercula, suppellex exigua. Tale elegit hospitium fabricator mundi, dice S. Cipriano (Serm. 1, de Nat.).15 In questa casa vive da povero, sostendando la vita coi sudori e colle fatiche, come appunto vivono gli artigiani e i figli degli artigiani, secondo era già chiamato e creduto dagli ebrei, che diceano: Nonne hic est faber? (Marc. VI, 3). Nonne hic est fabri filius? (Matth. XIII, 55).- Esce poi il Redentore finalmente a predicare, ed in questi ultimi tre anni di sua vita non muta già fortuna o stato, ma vive con maggior povertà di prima, vivendo di limosine. Ond’ebbe a dire ad un cert’uomo che volea seguirlo, affin di poter vivere più comodamente; sappi, gli disse, Vulpes foveas habent, volucres caeli nidos; Filius… hominis non habet ubi caput reclinet (Matth. VIII 20). E volle dire: Uomo, se tu speri con farti mio seguace di avanzare il tuo stato, erri, perché io sono venuto ad insegnare in terra la povertà; e perciò mi sono fatto più povero delle volpi e degli uccelli, che hanno le loro tane e i loro nidi; ma io in questo mondo non ho neppure un palmo di terra mio proprio, dove mettere a riposare la testa; e tali voglio che sieno ancora i miei discepoli. Speras commenta il suddetto testo Cornelio a Lapide- te in mei sequela rem tuam augere? Sed erras, quia ego, velut perfectionis magister, pauper sum, talesque volo esse meos discipulos.16 Poiché, come dice S. Girolamo: Servus Christi nihil praeter Christum habet (Epist. ad Herod.):17 I veri servi di Gesù non hanno né desiderano d’avere altro che Gesù. Povero in somma visse sempre Gesù Cristo, e povero finalmente morì; mentre per seppellirsi18 bisognò che Giuseppe d’Arimatea gli desse un luogo, ed altri per limosina gli dessero un lenzuolo da coprirgli il morto corpo.

Ugon cardinale, considerando la povertà, i disprezzi e le pene a cui volle sottomettersi il nostro Redentore, dice: Quasi insanus factus, ad miserias nostras descendit: Sembra che Dio per amore degli uomini sia andato in pazzia, volendo abbracciarsi con tante miserie, per ottenere loro le ricchezze della grazia divina e della gloria beata. E chi mai, dice lo stesso autore, avrebbe potuto credere, se Gesù Cristo non l’avesse fatto, ch’egli essendo il padrone di tutte le ricchezze, abbia voluto rendersi così povero! essendo il signore di tutti, abbia voluto farsi servo! essendo Re del cielo, assumere tanti disprezzi! essendo beato, assumere tante pene! Quis crederet divitem ad paupertatem descendere, dominum ad servitutem, regem ad ignominiam, deliciosum ad austeritatem!19 Vi sono in terra sì bene de’ principi pietosi, che godono d’impiegare le loro ricchezze in sollievo de’ poveri; ma dove mai si è ritrovato un re, che per sollevare i poveri siasi fatto egli povero simile ad essi, come Gesù Cristo? Si narra come un prodigio di carità quel che fece il santo re Eduardo, che vedendo un povero mendico sulla via, il quale non potea muoversi e stava da tutti abbandonato, questo principe con affetto se lo prese sulle spalle e lo portò alla chiesa.20 Sì, fu questo un grand’atto di carità che fé stordire i popoli; ma S. Eduardo con far ciò non lasciò di esser monarca, e restò ricco qual era. Ma il Figlio di Dio, il Re del cielo e della terra, per salvare la pecorella perduta, qual era l’uomo, non solo discese dal cielo per venire a cercarla, non solo se la pose sulle spalle, ma depose anche la sua maestà, le sue ricchezze, i suoi onori; e si fece povero, anzi il più povero tra gli uomini. Abscondit purpuram sub miseriae vestimentis, dice S. Pier Damiani (Serm. 61):21 Nascose la porpora, cioè la sua maestà divina, sotto le vesti d’un misero garzone di un fabbro. Qui alios ditat – ammira S. Gregorio Nazianzeno – paupertate afficitur; carnis meae paupertatem subit, ut ego divinitatis opes consequar:22 Quegli che provvede di ricchezze i ricchi, si elegge d’esser povero, affin di meritare a noi, non già le ricchezze terrene misere e caduche, ma le divine che sono immense ed eterne; procurando così col suo esempio di distaccarci dall’affetto de’ beni mondani, che portano seco un gran pericolo dell’eterna ruina. Si riferisce nella vita di S. Giovan Francesco Regis, che l’ordinaria sua meditazione era la povertà di Gesù Cristo.23

Fonte:hppts:intratext.com