VII Giorno della Novena di Natale

22 dicembre

Preghiera

O caro mio Bambino, tu piangi e ben hai ragione di piangere in vederti così perseguitato dagli uomini che tu tanto ami. Perdonami, Gesù mio, e permettimi che ti porti con me, nel mio cuore, in tutto il viaggio della vita che mi resta da fare, per entrare insieme con te nell’eternità. Io tante volte ti ho scacciato dall’anima mia coll’offenderti, ma ora ti amo sopra ogni cosa mi pento con tutto il cuore d’averti offeso. Amato mio Signore, io non voglio lasciarti più, ma tu dammi la forza di resistere alle tentazioni; non permettere che mi separi più da te, fammi prima morire, piuttosto che io abbia a perdere un’altra volta la tua grazia.
O Maria speranza mia, fammi vivere sempre e morire amando Dio.


3 Gloria

Gesù Bambino, abbi pietà di noi

 

Novena di Natale Meditata da S Alfonso M de Liguori

DISCORSO VII – Il Verbo Eterno da beato si fé tribolato.1

Et erunt oculi tui videntes praeceptorem tuum. (Is. XXX, 20).

Dice S. Giovanni: Omne quod est in mundo, concupiscentia carnis est, [et] concupiscentia oculorum, et superbia vitae (I Io. II, 16). Ecco i tre malvagi amori da cui venne ad esser dominato l’uomo dopo il peccato di Adamo: amor de’ piaceri, amor delle ricchezze, amor degli onori, da’ quali poi nasce la superbia umana. Il Verbo divino per insegnare a noi col suo esempio la mortificazione de’ sensi, che vince l’amor de’ piaceri, da beato si fé tribolato. Per insegnarci il distacco dai beni di questa terra, da ricco si fé povero. E finalmente per insegnarci l’umiltà che vince l’amor degli onori, da sublime si fece umile. Di questi tre punti parleremo in questi tre ultimi giorni della Novena. Parliamo oggi del primo.

Venne dunque il nostro Redentore ad insegnarci più coll’esempio della sua vita, che colle dottrine che predicò, l’amore alla mortificazione de’ sensi; e perciò da beato ch’egli è ed e stato sempre ab eterno, si fece tribolato. Vediamolo; e cerchiamo luce a Gesù ed a Maria.
L’Apostolo, parlando della divina beatitudine, chiama Dio l’unico beato e potente: Beatus et solus potens (I Tim. VI, 15). E con ragione, perché ogni felicità che può godersi da noi sue creature, altro non è che una minima partecipazione della felicità infinita di Dio. I beati del cielo in quella trovano la loro beatitudine, cioè in entrare nel mare immenso della beatitudine di Dio: Intra in gaudium Domini tui (Matth. XXV, 21). Questo è il paradiso che il Signore dona all’anima, allorché ella entra al possesso del regno eterno.

Dio a principio creando l’uomo, non lo pose in terra a patire, ma posuit… in paradiso voluptatis (Gen. II 15). Lo pose in un luogo di delizie, acciocché di là poi passasse al cielo, dove godesse in eterno la gloria de’ beati. Ma l’uomo infelice col peccato si rendé indegno del paradiso terrestre, e si chiuse le porte del celeste, condannandosi volontariamente alla morte ed alle miserie eterne. Ma il Figlio di Dio, per liberare l’uomo da tanta ruina, che fece? Di beato e felicissimo ch’egli era, volle diventare afflitto e tribolato. Potea già il nostro Redentore riscattarci dalle mani de’ nostri nemici senza patire. Potea venire in terra e godersi la sua felicità, facendo una vita beata anche quaggiù, con quell’onore che a lui era dovuto, come Re e Signore del tutto. Bastava in quanto alla Redenzione, che avesse offerto a Dio una sola goccia di sangue, una lagrima sola, per redimere il mondo, ed infiniti mondi: Quaelibet passio Christi, dice l’Angelico, suffecisset ad Redemptionem propter infinitam dignitatem personae (Quodlib. II, a. 2).2 Ma no: Proposito sibi gaudio, sustinuit crucem (Hebr. XII, 2). Egli volle rinunziare a tutti gli onori e piaceri, e si elesse in questa terra una vita tutta piena di travagli e d’ignominie.

Bastava sì, dice S. Giovan Grisostomo, alla Redenzione dell’uomo qualunque opera del Verbo Incarnato; ma non bastava all’amore ch’egli portava all’uomo: Quod sufficiebat Redemptioni non sufficiebat amori.3 E poiché chi ama vuol vedersi

dersi amato, Gesù Cristo per vedersi amato dall’uomo, volle patire assai, e scegliersi una vita tutta di pene, per obbligare l’uomo ad amarlo assai. Rivelò il Signore a S. Margherita da Cortona, che in sua vita non provò mai una minima consolazione sensibile.4 Magna… velut mare contritio tua (Thren. II, 13). La vita di Gesù Cristo fu amara come il mare, ch’è tutto amaro e salso, e non ha goccia che sia dolce. E perciò con ragione Isaia chiamò Gesù Cristo Virum dolorum (Cap. LIII, [3]): l’uomo de’ dolori, come se d’altro non avesse ad esser capace in questa terra, che di stenti e di dolori. Dice S. Tommaso che il Redentore non si caricò di semplici dolori, ma assumpsit dolorem in summo;5 viene a dire che voll’essere l’uomo più addolorato che mai fosse vivuto o avesse a vivere sulla terra.

Sì, perché quest’uomo nacque a posta per patire. Perciò assunse un corpo tutto atto al patire. Egli in entrare nell’utero di Maria, come ci avvisa l’Apostolo, disse al suo Eterno Padre: Ingrediens mundum dicit: Hostiam et oblationem noluisti, corpus autem aptasti mihi (Hebr. X, 5). Padre mio, voi avete rifiutati i sacrifici degli uomini, perché quelli non erano bastanti a soddisfare la vostra divina giustizia per le offese che vi han fatte: avete dato a me un corpo, com’io già ve l’ho richiesto, delicato, sensitivo, e tutto adattato al patire: questo corpo io volentieri l’accetto e ve l’offerisco, poiché con questo,
soffrendo tutti i dolori che mi accompagneranno nella mia vita, e finalmente mi daranno la morte sulla croce, così intendo placarvi verso il genere umano e così acquistarmi l’amore degli uomini.

Ed eccolo che appena entrato nel mondo dà principio al suo sacrificio e comincia a patire; ma d’altro modo che non patiscono gli uomini. Gli altri bambini, stando nell’utero delle loro madri, non patiscono, poiché stanno nel loro sito naturale; e se qualche poco patiscono, almeno non conoscono quel che patiscono, mentre son privi d’intendimento; ma Gesù bambino patisce per nove mesi l’oscurità di quella carcere, patisce la pena di non potersi muovere, e ben conosce quel che patisce. Perciò disse Geremia: Femina circumdabit virum (XXXI, 22). Predisse che una donna, quale fu Maria, dovea tenere involto tra le sue viscere, non già un bambino, ma un uomo: bambino si, in quanto all’età; ma uomo perfetto in quanto all’uso della ragione, poiché Gesù Cristo sin dal primo momento di sua vita fu ripieno di tutta la sapienza: In quo sunt omnes thesauri sapientiae et scientiae absconditi (Coloss. III, 3). Onde disse S. Bernardo: Vir erat Iesus necdum etiam natus, sed sapientia, non aetate (Hom. 2, sup. miss.).6 E S. Agostino: Erat ineffabiliter sapiens, sapienter infans (Serm. 27, de temp.).7

Esce poi dalla carcere dell’utero materno, ma a che? forse esce a godere? Esce a più patire, mentre si elegge di nascere nel cuore dell’inverno in una spelonca, la quale è stalla d’animali, di mezza notte; e nasce con tanta povertà, che non ha fuoco che lo riscaldi né panni bastanti che lo riparino dal freddo. Magna cathedra praesepium illud, dice S. Tommaso da Villanova.8 Oh come bene c’insegnò Gesù Cristo l’amore al
patire nella grotta di Betlemme! In praesepe, soggiunge il P. Salmerone, omnia sunt vilia visui, ingrata auditui, olfactui molesta, tactui dura et aspera.9 Nel presepio tutto dà pena: tutto dà pena alla vista, perché non si vede che pietre rozze e oscure: tutto dà pena all’udito, perché altro non si sente che voci d’animali quadrupedi: tutto dà pena all’odorato, per la puzza che vi è di letame: e tutto dà pena al tatto, perché la culla non è altro che una piccola mangiatoia, ed il letto non è composto che di sola paglia. Ecco questo Dio bambino come sta tra le fasce stretto, sì che non può muoversi: Patitur Deus, disse S. Zenone, pannis alligari, quod mundi venerat debita soluturus.10 E qui soggiunge S. Agostino: O felices panni, quibus peccatorum sordes extersimus (Serm. 9, de temp.).11 Eccolo come trema per lo freddo; come piange, per darci ad intendere che patisce, e presenta al Padre quelle prime sue lagrime per liberarci dal pianto eterno da noi meritato: Felices lacrimae, quibus nostrae obliterantur impietates, dice S. Tommaso da Villanova;12 o lagrime per noi beate, che ci ottengono il perdono de’ nostri peccati!

E così sempre afflitta e tribolata seguitò ad esser la vita di Gesù Cristo. Tra poco, appena nato, è costretto a fuggire esule e ramingo in Egitto, per liberarsi dalle mani di Erode. Ivi in quel paese barbaro visse molti anni nella sua fanciullezza povero e sconosciuto. E poco dissimile fu poi la vita che fece ritornato dall’Egitto, abitando in Nazarette, sino finalmente a ricevere la morte per man di carnefici su d’una croce in un mare di dolori e di obbrobri. Ma inoltre bisogna qui intendere che i dolori che Gesù Cristo soffrì nella sua Passione, la flagellazione, la coronazione di spine, la crocifissione, l’agonia, la morte, e tutte l’altre pene ed ingiurie che patì nel fine, tutte le patì dal principio della sua vita; perché fin dal principio gli fu sempre avanti gli occhi rappresentata la scena funesta di tutti i tormenti che dovea soffrire nel partirsi da questa terra, com’egli predisse per bocca di Davide: Dolor meus in conspectu meo semper (Ps. XXXVII, 18). Ai poveri infermi si nasconde il ferro o il fuoco con cui bisogna tormentarli per conseguire la loro sanità; ma Gesù non volle che gli si nascondessero gli strumenti della sua Passione, co’ quali dovea finir la vita per ottenere a noi la vita eterna; ma volle tener sempre avanti gli occhi i flagelli, le spine, i chiodi, la croce, che doveano spremergli tutto il sangue delle vene, sino a farlo spirare abbandonato da ogni conforto per puro dolore. A Suor Maddalena Orsini che da molto tempo pativa una grave tribolazione, apparve un giorno Gesù in forma di Crocifisso, per così confortarla colla memoria della sua Passione, e l’animò a soffrir con pazienza quella croce. La serva di Dio gli disse: Ma Signore, voi solamente per tre ore foste sulla croce; ma io già son più anni che patisco questa pena. Ah ignorante, allora le rispose il Crocifisso, io sin dal primo punto che stetti nell’utero di Maria soffersi tutto quel che poi ebbi a patire nella mia morte.13 – Christus, dice il Novarino, crucem etiam in ventre matris menti impressam habuit, adeo ut vix natus principatum eius super humerum eius habere dicitur.14 Dunque, mio Redentore, io non ti troverò per tutta la tua vita in altro luogo, se non sulla croce: Domine, nusquam te inveniam, nisi in cruce, disse Drogone Ostiense.15 Sì, perché la croce dove morì Gesù Cristo sempre gli fu innanzi alla sua mente a tormentarlo. Anche dormendo, dice il Bellarmino, il Cuore di Gesù era assistito dalla vista della croce: Crucem suam Christus semper ante oculos habuit. Quando dormiebat cor vigilabat, nec ab intuitu crucis vacuum erat.16

Fonte: hppts: intratext.com