Pensiero del giorno 14 aprile

Le sette parole dell'Amore

Quinta parola

Ho sete”

(Giovanni 19, 28)

Dammi da bere – aveva chiesto un giorno Gesù ad una donna Samaritana. Era stanco, quel giorno, per il lungo cammino, ma era seduto a suo agio vicino al pozzo di Sichar, mentre i discepoli s’erano allontanati a provvedersi di cibo. Nei campi attorno biondeggiavano le messi e c’era nell’aria come una promessa di doni. Alla Samaritana esitante Gesù aveva poi soggiunto: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è che ti dice dammi da bere!”. Chi è? Ce lo dice ora dalla Croce, esausto, sospirando: “Ho sete!”. Esprime così – ineffabile confidenza – il dono di Dio e la Persona che chiede da bere.

Nella sete di Gesù c’è tutta la sua Passione: l’angoscia del Getsemani e il sudore di sangue, il tradimento di Giuda e la violenta cattura, gli sputi, gli schiaffi, gli scherni, i colpi dell’orribile flagellum romano sulla nuda carne, le spine del capo, il patibulum portato sulle spalle, la crocifissione…

Da tre ore Egli è preda dello spaventevole supplizio… mani e piedi inchiodati, sospeso per i polsi, ha talmente deformata la statica e la dinamica della cassa toracica, che, per respirare, deve contrarre, con sempre maggior frequenza e difficoltà i muscoli delle braccia, quelli respiratori intercostali e il diaframma….sudori  profusi accompagnano i continui sforzi. Le piaghe sempre s’infiammano, i polmoni si congestionano sempre più, la sete divorante arde le mucose. Così, secondo la documentaria espressione del Salmo:

E’ inaridito come coccio il mio palato e la mia lingua s’è attaccata alle mie fauci”. 

Gesù muore di sete. La frequenza delle contrazioni, la respirazione insufficiente e la circolazione ostacolata del sangue, si aggravano progressivamente a vicenda, fino a giungere – affermano alcuni studiosi che hanno seguito con riverente sguardo scientifico il processo mortale del Crocifisso – alla tetanizzazione dei muscoli e all’asfissia. Ho sete!  Mentre la scienza non può che usare molte parole, Gesù le riassume tutte in una sola: Ho sete! 

Sete di che?… Di acqua, di liquido, che venga ad irrorare i tessuti dell’organismo, inariditi, irritati. I soldati romani, inconsci realizzatori  della profezia messianica  “nella mia sete mi fecero bere aceto”, inzuppano una spugna nella posca –la consueta miscela di acqua e aceto- e, mettendola in cima ad un’asta, l’accostano alla bocca di Gesù, che ne beve.

Ho sete! Ma soltanto di acqua? Se la natura è simbolo evidente di realtà superiori, se Gesù stesso ha usato il pane, l’acqua, il vino per consacrarle, umili cose, a sublimi realtà, non c’è dubbio che nel suo lamento –ho sete!- c’è tutto Lui:  il dono di Dio e Colui che chiede da bere. Raramente Gesù ha parlato dell’amore che ci porta, ma quando l’ha fatto -come qui- ci ha introdotto soavemente nel segreto del suo dolore, nel mistero doloroso del suo amore rifiutato dagli uomini.

Sappiamo, almeno noi cristiani, Chi è che ci chiede da bere e quale sia il suo dono?  E’ tanto avido di bere alle acque del nostro cuore, che si può dire sia perdutamente innamorato di noi, che l’uomo sia quasi un dio per Lui che è Dio. Ha sete di noi, acqua acetata, più che noi di acqua limpida e pura. “Quale meraviglioso amore ci ha donato il Padre, sicché noi siamo chiamati figli di Dio e lo siamo davvero! Da questo conosciamo il suo amore, che Egli, per noi, la sua vita sacrificò”.

Con l’amore non si scherza, perché l’amore è di Dio; e Dio, amandoci, non ha scherzato. Siamo noi cristiani che ci trastulliamo con l’amore: non crediamo a quella sua sete. Alla nostra sì, e non la estinguiamo domani, ma oggi, ma subito, e con bevande più inebrianti che dissetanti.

Alla sete di Dio chi pensa? Almeno la placassimo con il bicchiere di acqua fresca dato per suo amore ad uno sconosciuto, non tanto per la ricompensa promessaci, ma per dissetare Lui, Gesù. Se siamo ancora al mondo, se siamo cristiani ancora, lo dobbiamo a quella sua sete con la quale a Se ci assorbe, salvandoci dall’abisso ove, da noi, cadremmo. Come rispondere? Non c’è che un modo: quello dell’anima che Gli dice: “L’amore, lo so, Gesù, attira l’amore. Il mio si slancia verso di Te, vorrebbe colmare l’abisso che l’attira, ma è appena una goccia di rugiada sperduta nell’oceano. Per amarti, come Tu mi ami, ho bisogno del tuo stesso Amore”.

 Radioconversazione del Venerabile Padre Mariano da Torino Cappuccino (1964)

SANTA GIORNATA!