Pensiero del giorno 13 aprile

Le sette parole dell'Amore

Quarta parola

“Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”

(Matteo 27, 46)

Che cos’è mai il peccato?  Forse è soltanto un dire con arroganza al Padre: “dammi la parte dei beni che mi spetta”, prendersela e andarsene lontano per consumarla da solo?  Se fosse soltanto questo!  Se il peccato fosse solo un capriccio, un abbandonare la casa paterna, la dolcezza  di un nido!  Fosse soltanto un disordine nell’ordine meraviglioso dell’universo.  Non sarebbe, com’è, il mistero dell’iniquità.

Peccato!…è abbandonare non tanto la casa quanto la persona del Padre, perdere cioè volontariamente il contatto personale con Lui, il Padre! Chi può pensare e pesare l’orrore dell’uomo staccato, anche per un attimo da Dio? Chi lo può?

Uno solo, l’Agnello di Dio, che porta il peccato del mondo. “Ha voluto venire in somiglianza di carne di peccato, Colui che non conosceva peccato. Dio lo ha reso peccato, perché noi diventassimo giustizia di Dio in Lui”. Lo ha reso peccato: cioè Lo ha posto nella condizione giuridica di chi ha, di fatto, consumato il peccato. E’ il mistero del Cristo, il Quale “nei giorni della sua vita di carne, avendo offerto preghiere e suppliche con clamore grande e lacrime a Chi poteva salvarlo da morte, sebbene fosse Figlio, imparò, dalle cose che patì, l’obbedienza, e, reso perfetto, divenne per tutti causa di salvezza eterna”.

E’ il mistero dell’amore del Cristo che, potendoci riscattare dalla maledizione col valore infinito di una sola sua lacrima, non si limitò a diventare Egli stesso maledizione, ma volle toccare l’acme della prova nel grido: Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? E’ l’inizio del nuovo salmo messianico, è un grido del giusto paziente… ma chi potrà mai conoscere la larghezza, la lunghezza, l’altezza, la profondità di questo mistero del Cristo, conoscere cioè la carità di Cristo che trascende ogni conoscenza? E’ la parola più misteriosa e più rivelatrice ad un tempo di tutte quelle pronunciate dal Verbo di Dio fatto uomo.

La più misteriosa, perché, se risuona come grido di disperazione, è invece espressione dell’estremo dolore di Chi -mentre come Verbo è sempre col Padre e non è mai sol –  vuol sentire come Uomo, come rappresentante cioè  di tutta l’umanità, per un istante almeno, vuole sentire, in ciò che Egli può sentire come uomo, che cosa sia l’orrore della separazione da Dio che porta con sé il peccato. Ma potranno mai  troncarsi -sia pure per un istante- quei legami indissolubili che uniscono umanità e divinità nel Cristo? Potrà Egli, che è l’Essere sussistente, avvertire per  un attimo, sia pure infinitamente breve, l’isolamento totale,  la non esistenza del nulla? L’Uomo-Dio per cui Dio è tutto, potrà -per così dire- svuotarsi di Dio?

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? E’ anche la parola più rivelatrice detta dal Verbo di Dio fatto carne. Quel salmo prosegue e fa dire a Colui che è  verme e non uomo: “mangeranno i poveri a sazietà; loderanno il Signore quelli che Lo cercano, vivrà il loro cuore in eterno”. E’ la forza della grazia che sovrabbonderà ove più è abbondato il peccato e l’effetto del peccato: sono le esigenze dell’amore di Dio che, respinto dall’uomo, ha fatto misteriosamente sentire all’Uomo-Dio l’abbandono di Dio, in un attimo del tempo, per salvare tutti, con pienezza di giustizia, dall’abbandono eterno di Dio.

Il pane profumato della mensa paterna, che il peccato aveva fatto disprezzare, sarà a disposizione di tutti, per sempre: loderanno il Signore quelli che lo cercano, vivrà il loro cuore in eterno, perché il Signore stesso ha cercato la sofferenza estrema dell’uomo, l’ha fatta sua sulla Croce, quando si è sentito come uomo abbandonato dall’Amore.

Radioconversazione del Venerabile Padre Mariano da Torino Cappuccino (1964)

SANTA GIORNATA!