Pensiero del Giorno 11 aprile

Le sette parole dell'Amore

Seconda parola

“Oggi Sarai con me in paradiso”

(Luca 23,43)

Un uomo fece una gran cena e invitò molti. All’ora della cena mandò il suo servo a dire ai convitati: “Venite, tutto è pronto”. Ma tutti presero a scusarsi. Allora il padrone di casa disse al servo: “Presto, va per le piazze e per le contrade della città e conduci qua i poveri, i ciechi, gli zoppi”. E il servo, avendo obbedito, disse: “Signore, è stato fatto come hai ordinato e ancora c’è posto”. Ma il padrone ancora: “Va’ per le strade e lungo le siepi e costringi la gente ad entrare, affinché la mia casa si riempia”.

Che cos’è il paradiso se non l’essere sempre in quella casa riempita di invitati, in quella grande cena, ove la tristezza di un’ora si cambia nella gioia eterna? Che cos’è il paradiso se non l’essere sempre con Gesù? Esse cum Jesu dulcis est paradisus…già qui in terra -come sta scritto in un prezioso libro e nella coscienza dei veri cristiani.

Gesù, infatti, che ha portato in sé gioia e dolore – retaggio divino e umano ad un tempo-, non ha mai disgiunto l’uno dall’altra, proprio per noi che abitiamo la terra; “Beati -ha detto- quelli che piangono! Beati quelli che soffrono!”; non ha mai separato la croce dalla gloria. Ha chiarito che c’è una condizione per portare la croce con serenità e anche con gioia, ed è il portarla non da soli, ma con Lui: “Chi è vicino a me è vicino al fuoco, chi è lontano da me è lontano dal regno» afferma un detto attribuito a Gesù.  Certo, due ladroni gli sono ora vicini e soffrono come Lui, indicibilmente. Ma uno maledice e Lo bestemmia: è lontano, assente da Lui. L’altro ammettendo umilmente di ricevere la giusta pena per i suoi delitti, riconosce invece, con un palpito di affetto, che Gesù non ha fatto nulla di male. “Signore – Gli dice – ricordati di me, quando sarai giunto nel tuo regno”. A questa preghiera gli occhi di Gesù si fissano luminosi verso il cielo e, in atto non di preghiera ma di maestoso comando, risponde: “Ti dico, in verità, oggi sarai con me in paradiso”. E’ la prima canonizzazione di un abitante della terra, l’unica compiuta personalmente da Gesù, non negli splendori di una basilica o nella luminosità di una piazza, canonizzazione non di un servo di Dio, sulla cui vita eroica non ci siano più dubbi, grazie a un severo processo indagatore, ma di un processato a morte, durante l’esecuzione stessa della condanna!

E’ il primo, tra i redenti, che vede in quel giorno stesso la sua afflizione cambiata in gioia, il primo che entra in quel regno, preparto anche per lui fin dalla creazione del mondo.  Noi ce ne stupiamo, perché noi siamo cattivi. Non può fare il Signore quello che vuole delle cose sue? Il nostro occhio è maligno perché Egli è buono?  Buono tanto che lascia passare un ladrone in paradiso? No, il lasciapassare ce l’ha anche lui, quel birbante, non tanto per le sofferenze atroci che sopporta, quanto per l’atto di misericordia verso Gesù che soffre.

Ma dunque è più facile ai birbanti entrare in paradiso che non ai santi. Perché tale capovolgimento del nostro modo di pensare? Perché? Forse perché tanta parte del lavoro dei buoni è premio a se stessa, nella dolcezza che ne provano, mentre tanta parte della malvagità dei cattivi è castigo a se stessa, nel tormento che li perseguita.

Forse perché non di rado un atto di bontà fiorisce più generoso – come candido fiore da uno stagno – nel cuore di chi è conscio di non essere buono. Entrare in paradiso è facile per tutti, più facile di quanto non si pensi: “Quello che farete al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a Me”. Lo stupore non è nostro, ma del ladrone, che si è trovato in paradiso, senza sapere che, facendo del bene a Gesù, lo aveva fatto al più grande  dei suoi fratelli. Si è trovato per sempre con Gesù, lui  il più piccolo, a Lui unito nell’Amore.

Radioconversazione del Venerabile Padre Mariano da Torino, Cappuccino (1964)  

SANTA GIORNATA!