Pensiero del giorno 16 aprile

Le sette parole dell'Amore

Settima parola

“Padre nelle tue mani rimetto il mio spirito”

(Luca 23, 46)

Gesù non ha parlato che per insegnare e non ha mai insegnato se non per elevare l’uomo a Dio. All’uomo non ha detto tutto quello che Egli sa, ma ha saputo dirgli tutto e solo quello che gli è utile. Non è venuto per essere servito, ma per servire. E noi sentiamo che quanto più il tempo passa, tanto più vere ed  utili sono le sue parole, e, di queste, specialmente l’estrema, nella quale (cosa che nessun maestro ha mai saputo fare) ci chiarisce, spirando, che cos’è la morte e ci insegna come si muore.

Se è difficile il saper vivere, anche di più è il saper morire. In fondo, per quanto sembri paradossale l’affermazione, è molto più necessario saper morire che saper vivere, perché non è stabilito che quanti possano venire alla vita ci vengano di fatto, mentre è stabilito che tutti i viventi debbono morire. E mentre, quando si vive, essendo noi per natura socievoli, entrano altri nella nostra vita, quando si muore si è soli. Non contano amici o nemici, che possono anche essere a noi vicini (come lo furono a Gesù), ma non entrano nella nostra morte. Siamo noi che moriamo. Noi, finalmente soli, ma non solitari. Soli con Dio: soli con la Vita mentre perdiamo la vita. E che cos’è la vita? Attività della materia? Volontà di potenza? Lotta di classe? Sforzo per sottomettere a noi il mondo? Biologi, psicologi, filosofi, sono unanimi nel ripetere che non è soltanto tutte codeste povere cose, ma tutte le supera, la vita: è un mistero come nei primi giorni di primavera il verde tenero e fresco di quelle foglioline che guardiamo e non osiamo toccare…Non sappiamo che cosa sia la vita. E’ un grande mistero. La morte lo illumina in pieno, in un baleno. E’ l’ora della verità la morte, perché è il banco di prova della vita.

Nelle tue mani, o Padre, rimetto il mio spirito. Morte non è lo sfaldarsi di un’onda tra gli scogli del mare, non è il cedere delle energie strutturali che regolano l’autoconservazione dell’organismo umano, o un non voler più vivere, o un credere finito tutto; non è un giacere qualche metro sotto terra, ma un lasciare la terra. La morte è tutta qui, ed è qui la sua bellezza: nelle tue mani, o Padre, rimetto il mio spirito. 

Quante volte, dopo giornate faticose di lavoro, al tramonto del sole e al rapido scendere delle tenebre, Gesù adolescente avrà ripetuto, con Maria e con Giuseppe, questo verso del salmo, in cui ogni figlio d’Israele affidava al Signore la sua anima per l’enigma breve della notte! Quante volte! Ora lo ripete per l’ultima, restituendo l’anima al Padre.

Il valore della vita è qui: rendere a Dio il suo, la perla preziosa, ciò che più vale, nel tempo e nell’eternità .”Che cosa giova all’uomo possedere anche tutto il mondo, se poi perde l’anima?”. Oh non perderla, no! Consegnala con delicatezza a quelle mani che la ricevono con dolcezza paterna!

E’ giunta l’ora in cui ombre e tristezze svaniscono, in cui il peso del corpo umano cessa di gravare sull’anima, e questa può slanciarsi, finalmente libera verso la bontà infinita del suo Creatore, inabissarsi nel suo infinito amore.

Lo scopo della vita è vivere? Non è forse il morire, anzi l’amare? Che vale la vita se non per donarla? “Morì per tutti, affinché i viventi  non vivano più per se stessi, bensì per Colui che per loro morì e risuscitò”. Saper fare della vita un solo ininterrotto atto di amore! Saper fare della morte un atto di vita, il più bello, il più radioso atto di amore! “Nessuno infatti vive per se stesso e nessuno muore per se stesso; giacché tanto se viviamo, viviamo per il Signore, quanto se moriamo, moriamo per il Signore. Dunque, tanto se viviamo quanto se moriamo, siamo del Signore. Per questo infatti morì e nuovamente visse: per signoreggiare sui morti e sui vivi”.

 Radioconversazione del Venerabile Padre Mariano da Torino Cappuccino (1964)

SANTA GIORNATA!