Pensiero del Giorno 22 maggio

Ave Maria!

SALVE REGINA!

Salve, Regina,
madre di misericordia,
vita, dolcezza e speranza nostra, salve.
A te ricorriamo,
esuli figli di Eva;
a te sospiriamo, gementi e 
piangenti in questa valle di lacrime.
Orsù dunque, avvocata nostra,
rivolgi a noi gli occhi
tuoi misericordiosi.
E mostraci, dopo questo esilio, Gesù,
il frutto benedetto del tuo Seno.
O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria!

Introduzione

Tra le antifone rivolte alla Vergine Maria – Alma Redemptoris Mater, Ave Regina Coeli, Regina Coelorum – la Salve Regina è la preghiera senza dubbio più celebre e la più popolare, la più cara alle persone amanti di Maria e che sboccia semplicemente sulle labbra dei fedeli.

Origine e storia della preghiera

La forma attuale della Salve Regina assunse la forma corrente grazie ai monaci dell’abbazia di Cluny intorno al XII secolo. Questa abbazia introdusse l’orazione nel servizio liturgico intorno al 1135, in seguito se ne servirono pure i cistercensi e i domenicani, costituendone l’ultimo canto serale per molte comunità monastiche.

Nel secolo XIV ne ha visto l’introduzione nell’Ufficio Divino che anticipa l’attuale Liturgia delle Ore, al termine della compieta. Nel XIX secolo e successivamente all’interno della riforma liturgica del Concilio Vaticano II, è abitualmente intonata dopo la S. Messa. I vari pontefici che si sono succeduti sul trono di Pietro da questo momento in poi, hanno avuto molta cura nel raccomandare la recita del Salve Regina alla fine di ogni giorno, come atto di affidamento completo alla Madre di Dio.

Il Liber Usalis, il libro liturgico che contiene i testi e i canti liturgici gregoriani, contiene le due versioni dell’antifona mariana: una nel Tonus Simplex, che è ancora oggi più diffuso e forse uno dei pochi canti gregoriani conosciuto in tutte le comunità parrocchiali, l’altra nel Tonus Sollemnis, è più diffuso nelle comunità benedettine, risulta essere più solenne e suggestiva.

Questa composizione risale al Medioevo è scritta in latino, e viene tradizionalmente attribuita al beato Ermanno di Reichenau, noto come Ermanno il Contratto (1013-1054), un monaco benedettino tedesco vissuto in una abbazia vicino al lago di Costanza. Colpito giovanissimo da una grave malformazione che gli impediva di stare diritto e persino di camminare, fu sempre chiamato conctratus cioè lo storpio.

Nonostante fosse compromesso nel fisico, Ermanno fu un uomo di grande cultura, appassionato di astronomia, poesia, musica e liturgia, per questo molto stimato all’interno della sua comunità monastica e apprezzato da tutti, tanto che in qualche sua biografia viene definito dai suoi confratelli “molto amichevole e ridente”.

Il beato Ermanno visse nella sua vita la malattia e la sofferenza e questo sicuramente contribuì a fargli vivere intensamente il rapporto filiale con la Mamma celeste definendola Madre di misericordia e modello di vita, dolcezza e speranza per tutti.

Fu il gesuita inglese Cyril Martindale, interessandosi alla biografia del monaco Ermanno, che ritrovò in una biblioteca di Oxford un volume in latino che ne riferiva la vita e tra gli suoi scritti anche la preziosa orazione.

Beato Ermanno Contratto

Ermanno di Reichenau meglio conosciuto come Ermanno lo storpio. I documenti che attestano circa la sua esistenza riportano di un uomo con gli arti talmente deformati da non poter camminare, stare seduto sulla sedia per lui costruita appositamente e neppure sdraiato.

Nacque il 18 luglio 1013 dal conte di Althausen di Svevia, Goffredo ed Eltride. Fu monaco presso l’abbazia di Reichenau, in un’isola nel lago di Costanza, dove trascorse la sua vita fra la preghiera e lo studio. Nella biblioteca di Oxford, uno studioso gesuita, Cyril Martindale, in un volume latino chiamato Martindale, “riesuma” la storia di un “piccolo” affidato alle amorevoli cure della comunità dei monaci e divenuto poi monaco a sua volta. Sappiamo comunque che studiò a san Gallo e a trent’anni ricevette l’ordinazione sacerdotale a Reichenau. Il testo racconta di un uomo abitato dal desiderio, contraddistinto da un’umanità di spessore, appassionata. E ci raggiunge come una persona “piacevole, amichevole, sempre ridente; tollerante, gaio; sforzandosi in ogni occasione di essere galantuomo con tutti”. La sua fama arriva a Leone IX e all’imperatore Enrico III che si recano a conoscere questo uomo di rara finezza e sensibilità, che costruisce strumenti geniali e affascinanti e venne definito miraculum saeculi, la meraviglia del secolo.

Scrittore di una Cronaca Universale, testi di musica e di matematica, poesia e libri in cui spiega il funzionamento degli astrolabi. Di lui, nella prefazione, dice “Ermanno, l’infimo dei poveretti di Cristo e dei filosofi dilettanti, il seguace più lento di un ciuco, anzi, di una lumaca è stato indotto dalle preghiere di molti amici a scrivere questo trattato scientifico”. con quelle sue dita tutte rattrappite, l’indomabile giovane riuscì a fare astrolabi, orologi e strumenti musicali. Mai vinto, mai ozioso! In quanto alla musica -magari i nostri coristi d’oggi leggessero le sue parole! – egli afferma che un buon musico  dovrebbe essere capace di comporre un motivo passabile, o almeno di giudicarlo, e poi di cantarlo.

È per altro quasi certo che egli fu il compositore dello stupendo inno Salve Regina, dell’Alma Redemptoris, e di alcuni altri. Ma oltre a questo, Ermanno, dotato di un cervello straordinariamente attivo e vigoroso, e che era a conoscenza di tutte le tradizioni delle più importanti famiglie del suo tempo, ed aveva accesso a molti libri antichi che noi non conosciamo a causa delle distruzioni che in anni successivi dispersero e rovinarono le biblioteche degli antichi monasteri, scrisse un Chronicon  di storia del mondo, dalla nascita di Cristo al tempo suo.

Scopre in Monastero la bellezza dell’amicizia, il calore di una casa. È a Bertoldo che affida i pensieri più intimi, a lui che quotidianamente lo accompagna e aiuta nella pleurite che lo porterà alla morte. Ed è Bertoldo a dire nel Martindale “La Vita è così piena di vita pulsante, Ermanno ne esce veramente vivo! Non perché sapesse scrivere sulla teoria della musica e della matematica, né perché seppe compilare minuziose cronache storiche e leggere tante lingue diverse, ma per il suo coraggio, la bellezza dell’anima sua, la sua serenità nel dolore, la sua prontezza a scherzare e a fare a botta e risposta, la dolcezza dei suoi modi che lo resero “amato da tutti”. (…) Ermanno ci dà la prova che il dolore non significa infelicità, né il piacere la felicità”.

E furono queste le sue ultime parole.
[…] Senza dubbio, allevare bene il corpo è cosa importante, tuttavia subordinata; l’educar bene la mente è la cosa principale.
In questo povero, contorto ometto del Medioevo, brilla il trionfo della Fede.

SANTA GIORNATA!