Pensiero del giorno 25 settembre

XXVI Domenica del Tempo Ordinario

Letture: Amos 6,1a.4-7

1 Timoteo 6,11-16

Luca 16,19-31

Fate dei poveri i vostri avvocati

Un tale era ricco e si vestiva di porpora e bisso e banchettava ogni giorno splendidamente. E c`era un mendicante, di nome Lazzaro, pieno di piaghe, che se ne stava per terra alla porta del ricco” (Lc 16,19). Alcuni credono che il Vecchio Testamento sia piú severo del Nuovo ma si sbagliano. Nel Vecchio, infatti, non è condannato il non dare, ma la rapina. Qui, invece, questo ricco non è condannato per aver preso l`altrui, ma per non aver dato il suo. Non si dice ch`egli abbia fatto violenza a qualcuno, ma che faceva pompa dei beni ricevuti. Si può capire, quindi, quale pena dovrebbe meritare colui che ruba l`altrui, se è già condannato all`inferno colui che non dona il proprio. Nessuno perciò si assicuri dicendo: Non ho rubato nulla, mi godo ciò che m`è stato legittimamente assegnato, poiché questo ricco non è stato punito per aver rubato, ma perché si abbandonò malamente alle cose che aveva ricevuto. Lo ha condannato all`inferno quel suo non essere guardingo nella prosperità, il piegare i doni ricevuti al servizio della sua arroganza, il non aver voluto redimere i suoi peccati, pur avendone tutti i mezzi…

Ma bisogna far bene attenzione anche al modo di narrare usato dalla Verità, quando indica il ricco superbo e l`umile povero. Si dice infatti: “Un tale era ricco, e poi si aggiunge subito: “E c`era un povero di nome Lazzaro. Certo, tra il popolo son piú noti i nomi dei ricchi, che quelli dei poveri. Perché allora il Signore, parlando di un ricco e di un povero, tace il nome del ricco e ci dà quello del povero? Certo, perché il Signore riconosce e approva gli umili e ignora i superbi. Perciò dice anche ad alcuni che s`insuperbivano dei miracoli da loro operati: “Non vi conosco; andate via da me, gente malvagia” (Mt 7,23). Invece di Mosè è detto: “Ti conosco per nome” (Es 33,12). Del ricco, dunque, dice: “Un tale ricco; del povero, invece: “Un mendicante di nome Lazzaro, come se volesse dire: Conosco il povero, umile, non conosco il ricco, superbo; quello lo approvo riconoscendolo, questo lo condanno rifiutando di conoscerlo.

Bisogna anche osservare con quanta attenzione il nostro Creatore disponga tutte le cose. Il fatto è uno solo, ma non dice una cosa sola. Lazzaro, coperto di piaghe, sta innanzi alla porta del ricco. Da questo unico fatto il Signore ricava due giudizi. Forse il ricco avrebbe avuto una scusa, se Lazzaro povero e piagato non fosse stato proprio alla sua porta, se fosse stato lontano, se la sua indigenza non avesse dato perfino fastidio ai suoi occhi. E se il ricco fosse stato lontano dagli occhi del povero malato, questi avrebbe dovuto sopportare una tentazione meno grave. Ma ponendo il povero e malato alla porta del ricco e gaudente, il Signore, allo stesso tempo, aggrava il titolo di condanna del ricco, che non si commuove alla vista del povero, e fa vedere quanto grande sia la tentazione del povero, che vede ogni giorno lo scialacquio del ricco. Non vedete, infatti, che dura tentazione dovesse essere per il povero non aver neanche il pane, esser malato, e vedere il ricco far feste tra porpora e bisso; sentirsi mordere dalle piaghe e veder quello scialarsela tra tanti beni, aver bisogno di tutto e veder quello che non voleva dar nulla? Che tumulto di tentazioni dev`essere stato nel cuore del povero, per il quale poteva essere già abbastanza la sola pena della povertà, anche se fosse stato sano; e poteva essere abbastanza la malattia, anche se avesse avuto dei mezzi. Ma perché il povero fosse maggiormente provato, fu afflitto contemporaneamente dalla malattia e dalla povertà. Vedeva il ricco muoversi sempre in mezzo a uno stuolo di gente, e lui nessuno lo visitava. E che nessuno lo avvicinasse lo attestano i cani che ne leccavano le piaghe.

Morì poi il mendicante e fu portato dagli angeli tra le braccia di Abramo. Morì anche il ricco e fu gettato nell`inferno” (Lc 16,22). Così proprio quel ricco, che in questa vita non volle aver compassione del povero, ora, condannato, ne cerca l`aiuto. Viene aggiunto, infatti: “Alzando gli occhi dai suoi tormenti, vide lontano Abramo e Lazzaro tra le sue braccia e gridò: Padre Abramo, abbi pietà di me. Di` a Lazzaro che metta il suo dito nell`acqua e ne faccia cadere una goccia sulla mia bocca, perché io brucio in questa fiamma” (Lc 16,23-24). Oh, quant`è sottile il giudizio di Dio! E quant`è misurata la distribuzione dei premi e delle pene! Lazzaro avrebbe voluto le briciole che cadevano dalla mensa del ricco, e nessuno gliele dava; ora il ricco, nel supplizio, vorrebbe che Lazzaro facesse cadere dal dito una goccia d`acqua sulla sua bocca. Vedete, vedete, allora, fratelli, quanto sia stretta la giustizia di Dio. Il ricco non volle dare al povero piagato la più piccola porzione della sua mensa, e nell`inferno è ridotto a chiedere la più piccola delle cose. Negò le briciole e chiede una goccia d`acqua…

Ma voi, fratelli, conoscendo la felicità di Lazzaro e la pena del ricco, datevi da fare, cercate degli intermediari e fate in modo che i poveri siano vostri avvocati nel giorno del giudizio. Avete ora molti Lazzari; stanno innanzi alla vostra porta e hanno bisogno di ciò che ogni giorno, dopo che voi vi siete saziati, cade dalla vostra mensa. Le parole del libro sacro ci devono disporre ad osservare i precetti della pietà. Se lo cerchiamo, ogni giorno troviamo un Lazzaro; ogni giorno, anche senza cercarlo, vediamo un Lazzaro.

(Gregorio Magno, Hom., 40, 3 s.10)

Mese dell’ Addolorata

LA SOFFERENZA REDENTRICE
dal Numero 33 del 11 settembre 2022
Padre Stefano M. Miotto, FI

Il 15 settembre celebriamo la Beata Vergine Maria Addolorata. Da Lei, amata Corredentrice, vogliamo imparare a portare la nostra croce di ogni giorno con serenità, pazienza e amore. Ella ci ripete: «Quando incontri il dolore, vieni a stringerti più intimamente a me». Così le croci saranno più dolci.

Nel considerare i modi in cui noi possiamo essere collaboratori dell’Immacolata nella mediazione della grazia, Emilio Neubert – nel suo libro Il mio ideale: Gesù Figlio di Maria – affronta un argomento molto importante, quello della sofferenza redentrice. La sofferenza, che agli occhi di questo mondo appare qualcosa di inutile, anzi una disgrazia, agli occhi di Dio appare invece come qualcosa di molto prezioso. Per mezzo della sofferenza della Croce, Gesù ha salvato il mondo; e, per mezzo della sua compassione materna, la Madonna è divenuta la Corredentrice del genere umano. I santi, chi più chi meno, hanno tutti sofferto, passando per grandi tribolazioni.
Teoricamente noi accettiamo questo discorso, ne comprendiamo il valore. Ma quando siamo visitati personalmente dalla sofferenza, tutto cambia: noi ci dimentichiamo di questi bei discorsi e ci scoraggiamo. Per non essere sorpresi da questi sbandamenti, dobbiamo meditare spesso sul valore della sofferenza e, soprattutto, dobbiamo chiedere la grazia di saperla affrontare non solo con rassegnazione, ma anche con riconoscenza, vedendo in essa una grazia molto grande per assomigliare di più a Gesù e collaborare con l’Immacolata alla salvezza delle anime.
Il nostro Autore così scrive, mettendo queste parole sulle labbra della Madonna: «Dovrai compiere duri sacrifici. Dovrai lavorare ed affaticarti, spendere le tue forze e logorare la tua salute al mio servizio. E non solamente per alcune ore o per alcuni giorni, ma finché vi saranno uomini da salvare».
Riguardo poi alle sofferenze a cui tante volte va incontro il fedele servo dell’Immacolata, il Neubert riporta quelle che, forse, sono le più dolorose, quelle che ci procurano gli stessi compagni di apostolato, quegli stessi da cui invece ci aspetteremmo aiuto e conforto: «Le tue intenzioni saranno fraintese, i tuoi disegni scherniti, la tua attività biasimata. Coloro che dovrebbero aiutarti si disinteresseranno delle tue fatiche o tenteranno di distruggere ciò che ti sarai sforzato di edificare; coloro che dovrebbero incoraggiarti ti sconfesseranno o sovvertiranno i tuoi piani. Vi opporranno ogni sorta di ostacoli e poi diranno, a chi li vorrà sentire, che da molto tempo ne avevano predetto la cattiva riuscita».
Scriveva a tal proposito l’abate Chautard, nella sua opera molto bella, L’anima di ogni apostolato, rifacendosi a san Pio X: «Senza la vita interiore, le forze non basteranno a sopportare con perseveranza le noie che porta con sé ogni apostolato, la freddezza e lo scarso aiuto degli stessi buoni, le calunnie dei nemici, talora anche la gelosia degli amici e dei compagni d’armi…».
Bisogna dunque molto pregare per riuscire ad affrontare le inevitabili croci che incontreremo nell’apostolato. Queste croci, comunque, saranno molto preziose, non certo per chi le procura, ma per chi le riceve. Per mezzo di queste croci si riuscirà a fare molto del bene alle anime, più di quello che si riuscirebbe a fare quando tutto va per il meglio. Ricordiamolo bene: Gesù ha salvato il mondo per mezzo di un apparente fallimento umano, ovvero attraverso la sua morte in croce. Così l’apostolo riuscirà a far del bene alle anime soprattutto quando sarà avversato. Pensiamo a san Pio da Pietrelcina: durante le due lunghe persecuzioni che ha dovuto subire è stato umanamente annientato, ma certamente quella sua sofferenza offerta a Gesù è stata molto preziosa per tutti i suoi figli spirituali.
Il Neubert poi continua, facendo ancora parlare la Madonna: «La croce che ti preparano l’ignoranza, la stoltezza o la malvagità degli uomini potrebbe suscitare in te un senso di ribellione. Eppure questa croce, proprio questa, racchiude in sé una maggiore efficacia di redenzione. […] Quando nell’esercizio del tuo apostolato incontri il dolore, vieni a stringerti più intimamente a me».
Anche la sofferenza che ti proviene dall’incomprensione o dalla malvagità degli uomini – conclude il nostro Autore – ti riuscirà dolce. In essa vedrai non più gli uomini che l’hanno causata, ma Gesù e sua Madre che ti invitano a condividere la loro missione redentrice, e i fratelli che così avrai modo di salvare. 

SANTA DOMENICA!