Pensiero del giorno 29 marzo 2023
PASSIONE
Con un bacio… Gesù tradito dall’amico
di Don Eugenio Bernardi
«Noi siamo stati presenti al dramma dell’Orto e vi abbiamo portato un contributo di dolore, del quale noi, e noi soli, portiamo la personale responsabilità. Gesù ci ha visti, ci ha riconosciuti e ha sopportato l’oltraggio senza maledirci, ma gemendo e struggendosi d’angoscia al pensiero dell’amicizia da noi vilmente tradita. Gesù non mi ha dato motivo di odiarlo, ma io purtroppo ho avuto dei motivi per tradirlo. Motivi che non ho il coraggio di confessare a me stesso. Motivi vili e bassi: la soddisfazione dell’orgoglio, della vanità, del risentimento, della carne. Non ho chiesto di più. Una piccola soddisfazione mi è bastata per dimenticare tutto e tradire il più grande Amico».
Con queste parole forti, vere, drammatiche, l’autore dispone il nostro animo a un sincero esame di coscienza, perché la seguente meditazione vi cada come semente su terreno buono, e al pentimento del cuore si unisca il proposito di mai più tradire Gesù con il peccato.
Siamo nell’orto. La spedizione mandata per arrestare Gesù rimane fuori dal recinto, come in attesa. Ed ecco un uomo valicare il muro di cinta, ed avanzare rapidamente verso il Maestro. È Giuda. L’incontro non poteva essere più cordiale. L’ex discepolo, con una faccia di bronzo deturpata da un orribile sorriso che mal si conciliava con l’ipocrita atteggiamento esterno, gettò le braccia attorno al collo di Gesù abbracciandolo con effusione (katefilesen autòn = lo abbracciò ripetutamente e lo strinse a lungo al petto. Questo verbo è più espressivo che il semplice filèin = baciare).
A questo punto bisogna che torniamo un po’ indietro per conoscere gli antecedenti dell’odioso gesto compiuto da Giuda. San Giovanni ci dice che Giuda, conoscendo per esperienza il luogo del recapito notturno di Gesù, «avendo preso una coorte (un manipolo = duecento uomini di truppa), e da parte dei principi e dei farisei un buon nerbo di guardie del tempio, venne colà con lanterne e fiaccole ed armi» (Gv 18,3) […].
A tutti costoro (cioè alle truppe e ai loro capi) Giuda aveva proposto come segno indicatore per riconoscere la persona di Gesù, il bacio. «Quello che bacerò è lui, arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta» (Mc 14,44). Quello che io avrò baciato è appunto colui che voi cercate. Impadronitevi di Lui e conducetelo (via) solidamente (legato). Questa traduzione italiana del latino della Vulgata corrisponde perfettamente al testo greco. Le ultime parole, «sotto buona scorta», non devono essere intese nel senso di “conducetelo cautamente o con precauzione”, ma bensì in quello di “conducetelo saldamente o solidamente (sottintendi: legato)”.
Ci domandiamo se tutte queste misure precauzionali (in verità, ben esagerate!) per impadronirsi di Gesù siano dovute alle suggestioni di Giuda. La risposta non può essere che congetturale perché il Testo sacro non si spiega chiaramente. Stando alle parole di san Giovanni, sembrerebbe di sì («Giuda dunque, preso un distaccamento di soldati e delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei», Gv 18,3). Il testo sembra attribuire a Giuda l’iniziativa […].
Non è affatto inverosimile che quelle misure siano state ispirate, almeno in parte, dalle suggestioni di Giuda il quale sapeva benissimo che Gesù in condizioni analoghe era riuscito a sfuggire ai suoi nemici in modo del tutto strano se non miracoloso. Egli ricordava senza dubbio il caso di Nazareth quando i compatrioti di Gesù volevano precipitarlo dal monte, e come il Maestro fosse passato impunemente in mezzo alla folla ammutinata («ma egli passando in mezzo a loro se ne andò»; Lc 4,30); e quello del portico di Salomone, quando i suoi avversari volevano addirittura lapidario ed «Egli sfuggì dalle loro mani» (Gv 10,39). Senza contare il caso, anche troppo noto ai pontefici, di quando le guardie mandate per arrestarlo se ne dovettero ritornare a mani vuote dicendo: «mai un uomo ha parlato come questo uomo» (Gv 7,46). Tutte queste ragioni dovettero persuadere i membri del sinedrio a prendere tutte le precauzioni perché questa volta Gesù non potesse sfuggire.
Quello che in ogni modo si deve attribuire unicamente allo zelo di Giuda è il suggerimento di legare Gesù strettamente (asfalòs) e di circondarlo di un buon nerbo di soldati. Il miserabile sapeva anche troppo bene che il suo ex Maestro aveva a disposizione una forza misteriosa. Che fosse magia o potenza diabolica, Gesù era riuscito a compiere cose assolutamente al di sopra del potere normale degli uomini: aveva calmato la tempesta infuriata sul lago, aveva dominato l’indemoniato di Gerasa, aveva moltiplicato i pani, resuscitato i morti… Il suo potere era dunque straordinario e, ciò posto, il nerbo di soldati romani era tutt’altro che superfluo.
L’incredibile accanimento usato da Giuda per far riuscire la sua losca impresa parrebbe addirittura inesplicabile se non si pensasse che molto probabilmente i sommi sacerdoti pattuirono con lui di effettuare il versamento della somma promessa solo a cose compiute. Il fascino del denaro continua dunque ad abbacinare il miserabile e gli fa dimenticare tutto il resto. Dimentica l’Amico, le sue attenzioni, la fiducia dimostratagli; dimentica gli avvisi, i richiami, le minacce; dimentica la dottrina così elevata (che, ahimè, egli non comprese mai), i miracoli, tutto… E, a sangue freddo, con un odioso calcolo lungamente premeditato, dispone, ordina, formula il suo piano d’attacco, prende tutte le precauzioni possibili, perché l’Amico di una volta cada nelle mani dei suoi più accaniti avversari che certo non lo risparmieranno.
Per arrivare fino a un tal punto bisogna senz’altro ammettere che Giuda avesse completamente perduto la fede. Come avrebbe potuto altrimenti pensare che le catene o le truppe romane fossero in grado di mettere un limite alla potenza del Figlio di Dio? San Paolo dice che né i sommi sacerdoti né i capi della sinagoga avrebbero crocifisso Gesù se l’avessero riconosciuto come il Signore della gloria («se l’avessero conosciuto, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria», 1Cor 2,8). Questo si può ben dire anche di Giuda, ma tutto ciò non attenua la colpa né dei capi del popolo né di Giuda, perché non vollero conoscere il Signore della gloria. La loro cecità era tutt’altro che involontaria: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: noi vediamo, il vostro peccato rimane» (Gv 9,41).
Così come a Giuda, avviene a tutti i peccatori. Il peccato è dovuto a un indebolimento della fede. Indebolimento momentaneo o abituale che oscura le verità rivelate di modo che sulla volontà oscillante ha presa solo la visione di un bene transitorio. Lasciando da parte le tremende verità d’oltretomba, noi ci domandiamo: come potrebbe essere possibile il peccato grave per colui che sa con certezza che il peccato grave è un crocifiggere il Signore della gloria? O, come dice san Paolo in un altro passo, è crocifiggere in se stessi il Figlio di Dio e colmarlo di contumelie (cf. Eb 6,6)? Come potrebbe essere possibile il peccato grave per un credente che sa con tutta sicurezza di infliggere con esso un’atroce tortura al Cuore del più buono, del più affettuoso degli amici? In verità, per compiere una simile enormità, bisogna incominciare col non credere più.
Si può compatire chi, in un atto di passione e senza riflettere, cade in peccato. Non è escluso che il turbamento della ragione, lì per lì, tolga anche l’avvertenza almeno in parte. Ma come scusare chi con piena conoscenza di causa commette il peccato? Costui assomiglia a Giuda che con sangue freddo e con premeditazione, predisponendo tutti gli elementi necessari per l’effettuazione del piano concepito già in antecedenza, vende Gesù ai suoi nemici con un maledetto bacio traditore. Ora, la piena conoscenza si può ben supporre in chi è stato educato cristianamente.
Ma non solo il peccato mortale è inconcepibile in un uomo che vive e opera nella piena luce della fede, ma anche lo stesso peccato veniale pienamente avvertito sembra inammissibile in chi sa quello che esso significa. Se Giuda ha ferito a morte Gesù col suo tradimento, certamente anche gli Apostoli lo hanno profondamente rattristato con le loro negligenze e con la loro assenza nell’ora dell’agonia. E il peccato veniale assomiglia anche troppo a queste negligenze e a questa assenza. Con che cuore un’anima che crede potrebbe affliggere il grande Amico accasciato a morte per colpa dei nostri peccati?
Giuda ha perduto completamente la fede, ma insieme con la fede ha perduto anche quel sentimento di umanità che è innato nel cuore dell’uomo. In lui non ci sono più il rispetto dell’amicizia, il sentimento della riconoscenza, il più elementare palpito dell’umana pietà. Vende senza il minimo scrupolo il sangue di un Giusto. Tutto crolla, quando si spegne la luce della fede e l’uomo è trasformato in belva.
L’infelice discepolo si avvicina al Maestro. Nessuna esitazione in lui. Sa benissimo la parte che deve sostenere, e la gioca. Ha il coraggio di gettare le braccia al collo di Gesù che lo guarda senza ira e senza sdegno; ha il coraggio di stringerlo ripetutamente sul cuore e di baciarlo sulle gote. Poi gli dice: «Salve, Rabbi!». E dopo tutto ciò, non batte ciglio, le pulsazioni del suo cuore non si sono accelerate di un’unità, la sua fronte impassibile e la sua faccia di bronzo impenetrabile. Forse abbozza un sorriso che fa orrore perché assomiglia a un ghigno diabolico. È come il serpente che guarda col suo occhio vitreo il piccolo innocente uccellino prima di scagliarsi contro di lui. È orribile. Eppure è storia d’ogni giorno!
* * *
Bisogna, alla fin fine, che anch’io mi metta di fronte alla realtà. Credo o non credo? Credo che il peccato è l’imperversare dell’uomo contro l’Amico per eccellenza, e non un imperversare metaforico ma reale? Che Gesù abbia patito per i miei peccati, questo è di fede. «È stato schiacciato per le nostre iniquità» (Is 53,5); «Portava il peccato di molti» (Is 12). Ma che abbia patito per ogni peccato nostro una particolare pena fino a morirne, questo non è propriamente di fede, ma è una conseguenza logica di premesse certe. E non c’è dubbio che i documenti pontifici (ad esempio l’enciclica Miserentissimus Redemptor), le preghiere della Chiesa (per esempio nel Venerdì Santo), le conclusioni dei teologi e le intuizioni dei santi ci confermano in questa ferma credenza.
Credo o non credo?
Tutto è qui.
Continua…
Fonte: Il Settimanale di P Pio
SANTA GIORNATA!