L’ Eucarestia: Comunione d’amore

II Parte

Ovviamente, l’irradiazione più intima e profonda degli sguardi d’amore del Volto Redentore di Cristo Eucaristico si ha nella Sinassi, ossia nella Comunione sacramentale, là dove il Volto di Gesù e il volto più intimo dell’anima si incontrano e fanno unità ineffabile fino alla fusione d’amore che fa essere l’uno nell’altro secondo la divina parola di Gesù: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui “(Gv 6, 57). Già a suo tempo San Giovanni Crisostomo scriveva che: “come diventò una cosa sola con Lui (il Verbo Incarnato) il corpo preso dalla Vergine Maria, così noi per questo pane diventiamo una realtà sola con Lui”. Poteva ben esclamare il beato Contardo Ferrini: “La Comunione! Oh dolci amplessi del Creatore con la creatura! Oh elevazione ineffabile dello spirito! Che cosa ha il mondo che si possa paragonare a queste gioie purissime di cielo, a questi saggi della gloria eterna? “.

L’irradiazione del Volto Redentore di Gesù Eucaristico nella Comunione sacramentale investe misteriosamente, ma realmente, l’anima e il corpo di colui che si comunica. Si tratta davvero di un irradiazione in toto e di un’irradiazione ab intus che perdura tutto il tempo della permanenza delle Sacre Specie nel corpo di chi si comunica, ossia dura un tempo valutato, scientificamente, in circa dieci-quindici minuti dall’atto della commistione (contro le affermazioni pseudoscientifiche e puerili di alcuni, i quali sosterrebbero, al contrario, che il Pane consacrato  – ossia l’Ostia divina -, una volta messo in bocca, perderebbe subito la Presenza reale perché non sarebbe più pane mangiabile neppure per chi se lo sta mangiando…).

Per secoli interi, la Chiesa, nella celebrazione della santa Messa subito dopo la Santa Comunione, faceva pregare il sacerdote celebrante con la breve stupenda orazione di San Bonaventura da Bagnoregio: “Corpus tuum, Domine, quod sumpsi, et Sanguis quem potavi adhareat visceribus meis, et prasta ut in me non remaneat scelerum macula quem pura et sancta refecerunt Sacramenta…”. Realismo e misticismo si coniugano perfettamente in questa preghiera del grande Dottore Serafico, e le esperienze vive dei Santi hanno confermato a meraviglia questa verità consolatissima della permanenza reale fisica di Gesù Ostia nel corpo e nell’anima, durante lo spazio di tempo della consumazione delle Specie dopo la Comunione; è una verità dolcissima che non raramente ha avuto anche il sigillo del fenomeno mistico dell’estasi, come leggiamo, ad esempio, nelle biografie di San Francesco d’Assisi, di Santa Teresa d’Avila, di San Giuseppe da Copertino, di Santa Gemma Galgani e di parecchi altri Santi e Sante.

Nella vita della celebre mistica del Carmelo, Santa Maria Maddalena de Pazzi, ad esempio, si legge che un giorno, dopo la comunione, la Santa «si inginocchiò fra le novizie, incrociò le braccia, elevò gli occhi al cielo, ed esclamò: sorelle, se comprendessimo che nel tempo in cui durano in noi le Sacre Specie Eucaristiche Gesù è presente e opera in noi inseparabilmente col Padre e con lo Spirito Santo, e quindi qui sta tutta la Trinità Santissima…”. Non finì l’espressione del suo pensiero: la contemplazione del mistero eucaristico la elevò a una sublime estasi».

Anche Santa Teresa d’Avila, Dottore della Chiesa, insegna con premura e raccomanda con passione di non sciupare il tempo in cui abbiamo Gesù Eucaristico dentro di noi, dopo la Comunione sacramentale: «Tratteniamoci cordialmente con Lui- scrive la Santa – e non perdiamo l’ora che segue la Comunione: è un tempo eccellente per trattare con Dio, e per sottoporgli gli interessi dell’anima nostra. Poiché sappiamo che Gesù buono resta con noi fino a quando il calore naturale ha consumato gli accidenti del pane, dobbiamo avere grande cura di non perdere così bella occasione per trattare con Lui e prestargli le nostre necessità. Egli ricambia al centuplo l’accoglienza che gli si fa».

Ugualmente, San Luigi Grignion da Montfort raccomandava con premura e dava sempre l’esempio di non far mancare mai mezz’ora di ringraziamento alla santa Messa, mettendo da parte qualsiasi impegno e ogni altra occupazione anche urgente. «Non darei a quest’ora per un’ora di Paradiso», diceva, a conferma della preziosità del tempo da trascorrere con Gesù Eucaristico «prima della consumazione delle Sacre Specie» nel corpo, subito dopo la Comunione Eucaristica.

Il tempo della durata delle Sacre Specie nel corpo, dunque per San Luigi Grignion valeva più di «un’ora di paradiso». E non possiamo dimenticare Sant’Alfonso de Liguori, il grande dottore della Chiesa, che ugualmente, raccomandava a tutti di far durare il tempo del ringraziamento alla Santa Comunione per mezz’ora, o almeno, minimo per un quarto d’ora «quanto tempo cioè si ritiene si conservino in noi le Sacre Specie».

“Chi si comunica – afferma San Cirillo di Alessandria uno dei grandi Padri della Chiesa di Oriente – è santificato, divinizzato nel suo corpo e nella sua anima nel modo con cui l’acqua che è messa al fuoco diventa bollente “, e ancora: “la Comunione sacramentale opera come il lievito intriso nella farina: fermenta tutta la massa”; e ancora:  “nello stesso modo che unendo cera con cera risulterà l’una nell’altra, così io credo, chi si ciba della carne e beve del sangue è con Lui fuso per tale partecipazione, si trova ad essere egli in Cristo e  Cristo in lui “.

A San Cirillo di Alessandria fa eco prolungata e rinnovata, anche nel secolo ventesimo, San Massimiliano Maria Kolbe quando parla della comunione eucaristica scrivendo:

«Già ora il tuo Sangue scorre nel sangue mio, la tua anima, o Dio incarnato, componente la mia anima, le dà forza e la nutre»; e la sua morte di martire della carità per salvare un fratello nel campo della morte di Auschwitz, ha rinnovato la morte di Gesù, la Vittima divina che ha voluto immolare sé stesso per salvare i fratelli: «Oblatus est quia ipse volut» (Is 53,7).

Da: Eucarestia: trasparenza del volto redentore di Gesù, P Stefano M Manelli